Niente diritti né controllo internazionale
“Umiliazioni, torture e umiliazioni” — recita uno dei versi dell’acrostico scritto da Serhij Cygipa, fatto prigioniero dai russi, e letto dalla moglie. Lo status dei prigionieri civili non è chiaro, non vengono quasi mai scambiati con altri prigionieri e spesso i parenti non sanno nulla della loro sorte.
Allo Ukraine Crisis Media Centre si è tenuta una tavola rotonda che ha affrontato proprio il tema delle sorti dei civili ucraini fatti prigionieri dai russi oppure scomparsi a seguito dell’aggressione russa. All’evento hanno partecipato attivisti, autorità e rappresentanti delle associazioni delle famiglie dei civili prigionieri.
Nonostante il diritto umanitario internazionale proibisca di imprigionare i civili, in realtà i russi lo fanno da dieci anni. Già nel 2015 venne pubblicato il report “Sopravvissuti all’inferno”, che raccoglieva le esperienze di chi era riuscito a scappare dai luoghi di detenzione nei territori ucraini occupati dalla Russia.
— Sin da allora si andava delineando una politica di repressione nei territori occupati.— ricorda Oleksandr Pavličenko, direttore esecutivo del Gruppo di Helsinki ucraino per i diritti umani. — Rappresaglie dimostrative contro i civili per spaventare il resto della popolazione: questa è da dieci anni la politica degli occupanti.
La portata dei crimini
Non è possibile stabilire con esattezza quanti siano i civili ucraini imprigionati dal regime di Putin. Il 26 febbraio scorso, il Commissario per i diritti umani del parlamento ucraino Dmytro Lubinec ha parlato di 28 mila ucraini prigionieri, tra militari, civili e bambini. Secondo il Centro di coordinamento per il trattamento dei prigionieri di guerra, i civili sono circa la metà: 14 mila. Inoltre, solo di 1600 persone è stato confermato il luogo di reclusione, mentre giusto una piccolissima minoranza, 147 civili, è riuscita a tornare.
Tra i prigionieri ci sono volontari, attivisti, filoucraini, rappresentanti delle forze dell’ordine, ex militari o ex guardie di frontiera. Oppositori, ma anche persone che non rappresentavano la benché minima minaccia per gli occupanti. Inoltre, la Russia trattiene illegalmente circa 3500 detenuti, trasferiti in territorio russo da carceri ucraine. Non bisogna infine dimenticare i 208 pazienti portati via da cliniche neuropsichiatriche e le centinaia di anziani soli.
Come accade?
L’associazione “I cari a noi più cari” (Naši najridniši) riunisce 89 famiglie provenienti dalla regione di Kyiv. Ognuna di esse ha un civile fatto prigioniero dagli occupanti; alcuni anche da due anni, come ci racconta Anna Muštukova, rappresentante dell’associazione.
— Nel paesino di Dymer sono stati arrestati in 42. Non erano militari, lavoravano in ambito civile, in particolare in ambito agricolo. Ci siamo rivolti al Comitato Internazionale della Croce Rossa e abbiamo ricevuto notizie di 33 nostri cari. Ci hanno risposto che li trattengono in quanto prigionieri di guerra. Non ci risulta che qualcuno di loro sia stato accusato di reati penali, né che sia stato giudicato secondo la legge russa.
Il Gruppo di protezione dei diritti umani di Charkiv ha studiato lo schema seguito dagli occupanti per il rapimento di civili. Hanno creato una rete di luoghi, ripartita su due livelli, in cui trattengono illegalmente i civili e li torturano.
— Prima finiscono in luoghi dove vengono torturati, — racconta il presidente del Gruppo di protezione dei diritti umani di Charkiv Evgenij Zacharov. — Di solito si tratta di sedi non ufficiali con condizioni di detenzione pessime. Soltanto nella regione di Charkiv sappiamo di 33 luoghi di questo genere, utilizzati durante l’occupazione. I prigionieri possono rimanere in queste prigioni segrete fino a un anno e mezzo. Nel database di T4P risultano 4334 ex prigionieri, di cui circa 200 minorenni.
Dopo le torture una parte viene liberata, mentre la maggioranza viene trasferita in strutture di detenzione istituzionali: centri di custodia cautelare e altri penitenziari in Russia o nei territori occupati dell’Ucraina.
— Qui i civili sono separati dagli altri detenuti, — continua Evgen Zacharov. — Non figurano nelle statistiche ufficiali, il sistema penitenziario russo non li registra né sa della loro esistenza. I civili, poi, vengono processati molto raramente: sono quindi persone che si trovano in carcere senza motivo, senza una sentenza del giudice, senza indagini né accuse, solo perché la Russia pensa che agire così sia normale.
Un discorso a parte lo merita il filtraggio, pratica introdotta dai russi nei territori occupati all’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Dai cosiddetti “punti di filtraggio” i sospetti (agli occhi degli occupanti) vengono mandati per 30 giorni in campi di detenzione appositi, i campi di filtraggio.
— Grazie a un apposito decreto dell’aprile 2022, chi non passava il “filtraggio” della “Repubblica Popolare di Doneck era automaticamente dichiarato prigioniero con condanne a 10 anni di reclusione senza bisogno di alcuna sentenza, — spiega Zacharov. — Questo status, completamente illegale e disumano persino per i russi, è stata rimosso in seguito al “referendum” che alla fine di settembre 2022 ha annesso la “Repubblica Popolare di Doneck” alla Federazione Russa, e una parte dei prigionieri è stata liberata. Quanti siano esattamente gli altri e cosa sia successo loro non lo sappiamo: secondo alcune versioni, sarebbero stati trasferiti in centri di detenzione russi dove li avrebbero giudicati “per opposizione all’operazione militare speciale”.
“Tribunali” di facciata e illegalità di fatto
La Russia considera alcuni degli ostaggi civili come prigionieri di guerra. Una parte ricade sotto lo status di “oppositori all’operazione militare speciale”.
— Non si tratta di un termine giuridico, — sottolinea Zacharov. — Nel Codice penale della Federazione Russa non c’è una definizione simile, che dal punto di vista legale non significa assolutamente nulla!
Una persona può rimanere a lungo in questo limbo di illegalità. Oppure può proprio non avercelo, uno status, e l’unica risposta che si ottiene quando si cerca di chiarire la sua situazione è: “ci sono verifiche in corso”.
Inoltre, come aggiunge Oleksandr Pavličenko, in pochissimi affrontano una parvenza di “procedura giuridica”, durante la quale vengono formulate accuse a loro carico, viene fornito loro un avvocato, e si assiste effettivamente a un iter legali visibile o a un processo. Questi casi ammontano ad alcune centinaia.
— La stragrande maggioranza delle persone, al contrario, semplicemente scompare: a volte negli istituti di pena, che si trovano per la maggior parte in territorio non controllato dall’Ucraina, non vengono registrati nemmeno con le generalità, ma con dei numeri a. I prigionieri vengono trasferiti a Mariupol’ e a Berdjansk, dove spariscono in una zona grigia. Non figurano nel sistema penitenziario federale russo. È un buco nero anche quanto alla mancanza di diritti. Questi trasferimenti sono parte di una strategia consapevole, messa in atto per far perdere le tracce delle persone e impedire di scoprire dove si trovano e in che condizioni versano… Non è possibile trovarli, con le loro generalità.
Così è scomparso il marito di Tetjana Marina, il volontario spagnolo Mariano García Calatayud. La donna si è unita all’associazione “Civili prigionieri” (Civil’ni v poloni).
— A oggi non si ha notizia di dove sia mio marito. L’ultimo luogo in cui è stato, confermato da testimoni, è il centro di custodia cautelare n°2 della città di Simferopol’. Successivamente lo hanno trasferito in un carcere a Čonhar. Si tratta di un nuovo centro detentivo del sistema penitenziario federale russo che non compare ancora sul portale “Zonatelekom” (per i servizi digitali nel sistema penitenziario, n.d.t.) né in alcuno schedario. È una sorta di prigione segreta. Penso che abbiano deciso di tenere lontano Mariano da tutte le possibili fonti di informazioni. La procura del distretto del mar Nero della Federazione russa mi ha mandato una lettera secondo cui “Il primo giugno 2023 il cittadino spagnolo Mariano García Calatayud ha attraversato il checkpoint internazionale per veicoli di Džankoj in direzione della regione di Cherson”. Non sappiamo, però, come lo abbia fatto, se da uomo libero o su una tradotta. A Čonhar abbiamo perso le sue tracce...
Le condizioni di prigionia
Secondo gli attivisti, attualmente i luoghi di reclusione conosciuti in cui si trovano prigionieri ucraini militari e civili sono più di cento.
— Le condizioni sono terribili, — racconta Natal’ja Jaščuk, coordinatrice per la gestione dei progetti del Centro per le libertà civili. — Le persone si ammalano di tubercolosi. Secondo i nostri dati, sono il 20% di chi è trattenuto illegalmente. Non ricevono assistenza medica e il cibo è immangiabile.
I prigionieri spesso indossano gli stessi vestiti di quando sono stati arrestati e non ricevono prodotti per l’igiene personale. I pasti sono scarsi e scadenti, a volte viene distribuito volutamente cibo andato a male. Anche quando i famigliari sanno dove si trova il prigioniero, non possono fargli recapitare neanche il minimo indispensabile, come medicine e vestiti pesanti. E questo nonostante che i prigionieri ucraini vengano spesso trasferiti in località remote della Russia con un clima molto rigido.
Un altro crimine internazionale compiuto ai danni dei nostri civili prigionieri è l’imposizione forzata della cittadinanza russa, aggiunge Natalija Jaščuk:
— Se qualcuno oppone resistenza, lo portano in isolamento e lo torturano finché non acconsente a diventare cittadino della Federazione russa.
Cosa fanno gli organismi internazionali?
La mancanza di un monitoraggio e di un controllo efficaci da parte degli attori internazionali era evidente già dieci anni fa, e da allora il problema non è mai stato risolto.
— I territori ucraini occupati e la Federazione russa, dove gli ucraini vengono deportati, sono privi del pur minimo controllo da parte di organi internazionali come il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la missione dell’OSCE, — dice Oleksandr Pavličenko. — Questi organismi dovrebbero invece effettuare delle visite indipendenti nei luoghi di reclusione e capire chi vi è rinchiuso, in quali condizioni e per quale ragione… Il diritto dei trattati internazionali ha però dei limiti, in questo senso. Quando vediamo le immagini di rappresentanti del Comitato Internazionale della Croce Rossa in visita al centro di custodia cautelare di Simferopol’, per esempio, sappiamo che si tratta in buona parte di una visita concordata. In caso di scambio di prigionieri, poi, il predestinato riceve cure e cibo adeguati e le sue condizioni di reclusione migliorano. Per questo al momento del rilascio viene girato un video, in cui i rappresentanti delle istituzioni internazionali incontrano il prigioniero: naturalmente serve a restituire un quadro positivo della situazione.
La risposta dello stato
L’Ucraina sta cercando di coinvolgere quanti più partner internazionali possibile per salvare i suoi civili.
— Il 6 febbraio si è tenuta la prima assemblea di una coalizione internazionale atta a creare una piattaforma per la liberazione dei civili, — afferma Oleksandr Kononenko, rappresentante del Commissario della Camera alta del parlamento ucraino per i diritti dell’uomo negli organi di sicurezza e difesa. — La piattaforma si ispira alla Coalizione internazionale per il rimpatrio dei bambini ucraini. Oltre all’Ucraina, i paesi co-rappresentanti della coalizione sono il Canada e la Norvegia, ma diversi stati si sono detti interessati a farne parte. L’esperienza positiva acquisita nell’ambito del rimpatrio dei bambini può aiutare a creare le condizioni per un analogo rimpatrio di civili.
Viktorija Petruk, esperta del Centro di coordinamento per il trattamento dei prigionieri di guerra, ha dichiarato che a breve verranno introdotte modifiche nella legislazione e la questione del rimpatrio dei civili diventerà ufficialmente competenza del Centro, che in realtà già se ne occupava da tempo, pur se non ufficialmente.
In generale, la legislazione ucraina ha bisogno di una profonda revisione.
— La legge vieta di trasferire risorse ai territori non controllati, anche ai tatari di Crimea che si trovano sotto processo e hanno bisogno di avvocati, — spiega Oleksandr Pavličenko. — La necessità di fornire aiuto umanitario e la necessità di assistenza medica, cibo e igiene devono essere inserite tra le priorità della politica ucraina. Inoltre, bisogna creare un registro unico dei prigionieri civili. Oggi esistono registri diversi in varie istituzioni: il Ministero dell’Interno, il Servizio di sicurezza ucraino, il Centro di coordinamento, le ONG. Servono informazioni attentamente verificate e centralizzate, raccolte in un unico registro, per capire quanti sono i prigionieri e quali meccanismi internazionali si potrebbero mettere in atto per rimpatriare i civili.
Il contributo degli attivisti per i diritti umani
Il nuovo progetto del Gruppo di protezione dei diritti umani di Charkiv ha come obiettivo di rintracciare prigionieri di guerra e civili scomparsi oppure trattenuti nei territori occupati e fornire supporto alle loro famiglie.
— Parliamo con chi viene rilasciato a seguito di uno scambio di prigionieri, — ci spiega l’iter Evgen Zacharov. — Gli ex prigionieri ci raccontano con chi erano reclusi e dove. In più utilizziamo fonti aperte, di libero accesso. Un altro metodo di ricerca consiste nell’inviare delle richieste di informazioni. Per ogni singola persona inviamo fino a 10 richieste alle organizzazioni ucraine e fino a 40 alle istituzioni russe e pseudostatali delle “Repubbliche di Doneck e Lugansk” e della Crimea. A volte servono a confermare il luogo in cui la persona è trattenuta, ma nella sedicente “Repubblica Popolare di Doneck” in seguito a nostre richieste sono stati rilasciato due prigionieri. A volte rispondono che la persona si trova in Russia, ma non specificano dove. Si tratta comunque di un risultato: la famiglia sa che il suo caro è ancora vivo.
Il Gruppo di protezione dei diritti umani di Charkiv aiuta anche chi è già stato condannato e sta scontando la pena nella Federazione russa. In questo caso risulta essenziale il contributo di attivisti e avvocati russi, gli unici che per legge hanno il diritto di entrare nei luoghi di reclusione e incontrare i detenuti ucraini.
Il Gruppo di protezione dei diritti umani di Charkiv fornisce alle famiglie dei prigionieri e degli scomparsi assistenza giuridica, psicologica, umanitaria e, in alcuni casi, anche medica.
È stato inoltre attivato un numero verde a cui può rivolgersi chi ha notizie di prigionieri di guerra e civili detenuti o scomparsi nei territori occupati. Il numero è 0 800 20 24 02.
— Naturalmente non possiamo dare garanzie, — spiega Evgenij Zacharov. — Tuttavia, in anni di lavoro siamo riusciti a rintracciare più del 30% di coloro che ci avevano segnalato.