La strada dell’Ucraina verso Bruxelles passa per Roma
Nel recente rapporto della Commissione Europea dell’8 novembre 2023 sulle prospettive di avvio dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea (UE) viene sottolineato cinque volte che il Paese non ha ratificato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale del 1998. Il rapporto, in questo modo, riporta all’attenzione la questione della ratifica di questo trattato internazionale da parte dell’Ucraina e spinge a riconsiderare gli argomenti “pro” e “contro” questo passo.
L’Ucraina ha firmato lo Statuto di Roma il 20 gennaio 2000, ma per lungo tempo la sua ratifica è stata ostacolata dalla decisione della Corte Costituzionale dell’Ucraina del 2001 che non riteneva lo Statuto conforme alla Costituzione del Paese. Successivamente, l’articolo 124 della Costituzione ucraina è stato modificato, permettendo all’Ucraina di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale (CPI) che è alla base dello Statuto di Roma. Sebbene queste modifiche siano entrate in vigore già nel 2019, non è stato ancora fatto alcun passo in avanti verso la ratifica dello Statuto. Tuttavia, nel 2014 e nel 2015 l’Ucraina ha depositato dichiarazioni di accettazione della giurisdizione della CPI ad hoc, autorizzando la Corte a perseguire e punire i crimini internazionali commessi nei confronti dei partecipanti alla Rivoluzione della Dignità o Euromaidan (dichiarazione del 2014) e quelli compiuti nel contesto dell’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina (dichiarazione del 2015).
Vediamo quali sono i principali argomenti che vengono spesso citati a sostegno della ratifica dello Statuto di Roma da parte dell’Ucraina.
In primo luogo, l’Ucraina deve ratificare lo Statuto di Roma perché si è assunta l’obbligo giuridico internazionale di farlo. Ovviamente, il fatto che 124 Stati del mondo abbiano aderito allo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale non implica che altri Stati siano obbligati a fare lo stesso. Tuttavia, l’Ucraina si è impegnata a ratificare lo Statuto davanti all’UE, stipulando con essa l’Accordo di associazione nel 2014. L’articolo 8 di questo trattato internazionale obbliga direttamente l’Ucraina a ratificare e implementare lo Statuto di Roma.
In secondo luogo, alla luce dell’irreversibilità del corso europeo dell’Ucraina proclamata nel preambolo della Costituzione del Paese, l’articolo 8 dell’Accordo di associazione con l’UE sembra trasformarsi da obbligo giuridico internazionale in imperativo costituzionale. Se l’irreversibilità del corso europeo dell’Ucraina è uno dei principi costituzionali fondamentali e l’Accordo di associazione con l’UE è parte di questo corso, è logico che l’attuazione delle disposizioni dell’Accordo, articolo 8 compreso, sia vincolante per l’Ucraina non solo secondo il diritto internazionale, ma anche secondo la Costituzione nazionale.
In terzo luogo, la ratifica da parte dell’Ucraina apre per il Paese l’opportunità di influenzare “dall’interno” l’attività della Corte Penale Internazionale (CPI): ad esempio, può partecipare alle elezioni dei funzionari della Corte o all’approvazione del suo bilancio. In particolare, la ratifica dello Statuto di Roma consentirebbe all’Ucraina di proporre emendamenti allo Statuto stesso. Ad esempio, attualmente si discute molto sulla necessità di estendere la giurisdizione della CPI sul crimine di aggressione, dal momento che l’offensiva della Federazione Russa contro l’Ucraina ha rivelato un suo limite evidente: la CPI è autorizzata a esaminare i casi di crimini di aggressione solo quando l’atto è commesso da uno Stato parte dello Statuto di Roma nei confronti di un altro Stato parte. Non sarebbe logico che l’Ucraina, vittima di uno dei crimini di aggressione più gravi della storia moderna, guidasse la campagna per estendere la giurisdizione della CPI su questo tipo di crimine internazionale?
In quarto luogo, l’elevato numero di crimini internazionali registrati dalle forze dell’ordine ucraine dimostra che l’indagine avviata dalla CPI sulla situazione in Ucraina non continuerà per anni, bensì per decenni. Alla luce di ciò, non è conveniente per l’Ucraina costruire i propri rapporti con la Corte Penale sulla base di dichiarazioni di accettazione della giurisdizione che le impongono solo obblighi, senza offrire la possibilità di influenzare l’attività della CPI “dall’interno”.
In quinto luogo, ad oggi, in Ucraina sono stati registrati più di 120.000 procedimenti penali legati alla guerra, gran parte dei quali per crimini internazionali. Sono già più di cento i casi che sono stati portati in tribunale o per i quali sono state pronunciate sentenze contro i soldati della Federazione Russa. Tuttavia, nel Codice Penale ucraino molti reati internazionali vengono definiti in maniera notevolmente diversa rispetto a come li definisce lo Statuto di Roma e difatti sussistono seri problemi in materia di protezione dei testimoni e tutela dei diritti delle vittime di questi crimini. Ad esempio, il Codice Penale non fornisce una chiara definizione per molti crimini di guerra e i crimini contro l’umanità non vengono nemmeno menzionati. Di conseguenza a livello nazionale si osservano pratiche investigative e giudiziarie che talvolta sono in contraddizione con il diritto penale internazionale. Col passare del tempo, queste discrepanze aumenteranno: solo la ratifica immediata dello Statuto di Roma può colmare le carenze del sistema nazionale e garantire che le indagini su migliaia di crimini internazionali procedano nel modo giusto.
Le argomentazioni a favore della ratifica dello Statuto di Roma, descritte sopra, non sembrano però risultare convincenti per una parte significativa del panorama politico ucraino e per alcune figure pubbliche. Vediamo come vengono argomentate le obiezioni mosse alla ratifica dello Statuto.
In primo luogo, molto spesso si sente affermare che la ratifica dello Statuto di Roma comporterebbe l’avvio di procedimenti penali contro i militari ucraini. Tuttavia, questa tesi è poco convincente. Il riconoscimento della giurisdizione della CPI da parte dell’Ucraina sulla base delle dichiarazioni del 2014 e del 2015 ha già dato alla Corte la possibilità di perseguire e punire qualsiasi crimine internazionale commesso sul territorio dell’Ucraina o da cittadini ucraini. Pertanto, la ratifica dello Statuto di Roma da parte dell’Ucraina non influirà in alcun modo sui poteri giurisdizionali della CPI. Ovviamente, se la Corte avesse motivi per perseguire penalmente i cittadini ucraini e, per di più, come sostiene chi si oppone alla ratifica dello Statuto di Roma, per ragioni non chiare avesse interesse a disporre processi farsa di massa contro gli ucraini, questo sarebbe già avvenuto molto tempo fa. Tuttavia, dall’inizio delle indagini dell’Ufficio del Procuratore della CPI sulla situazione in Ucraina (2 marzo 2022) non è stato accusato un solo cittadino ucraino, nonostante il Paese sia coinvolto da dieci anni in un conflitto armato, diventato, da quasi due, una guerra su vasta scala. Inoltre, è importante capire che la CPI non ha né risorse umane né finanziarie per avviare dei procedimenti penali di massa. Chi si oppone alla ratifica dello Statuto di Roma fa spesso riferimento al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ), che per un certo periodo di tempo ha avviato procedimenti penali contro individui appartenenti agli ordini più bassi della gerarchia, non avendo avuto modo di agire contro i responsabili più vicini ai vertici del potere. Tuttavia, a differenza del TPIJ, la CPI è stata concepita fin dall’inizio come un tribunale che avrebbe perseguito solo le persone ai ranghi più alti della gerarchia, mentre secondo lo Statuto di Roma è compito degli Stati perseguire e punire la stragrande maggioranza dei criminali internazionali.
In secondo luogo, spesso chi è contrario alla ratifica dello Statuto di Roma supporta la tesi precedente sostenendo che, dal momento che la cooperazione dell’Ucraina con la CPI si basa sulle dichiarazioni di accettazione della giurisdizione, i cittadini ucraini sono potenzialmente tutelati da presunti procedimenti penali di massa: se la CPI ricorresse a tale prassi, l’Ucraina semplicemente revocherebbe queste dichiarazioni, privando così la CPI della possibilità di esercitare la propria giurisdizione sui cittadini ucraini. In realtà, questa tesi è pura illusione poiché sia per la CPI sia per altri tribunali internazionali, il mancato riconoscimento della giurisdizione di tali istituzioni da parte degli Stati ha conseguenze legali solo per le indagini e i procedimenti giudiziari futuri, ma non per quelli già avviati. Pertanto, il ritiro da parte dell’Ucraina delle dichiarazioni di accettazione della giurisdizione non fermerà le indagini sulla situazione in Ucraina già avviate dall’Ufficio del Procuratore della CPI. Inoltre, se il rischio di procedimenti penali di massa ingiustificati contro i cittadini ucraini da parte della CPI dovesse essere davvero reale, allora, per quanto paradossale possa sembrare, la ratifica dello Statuto di Roma può fornire protezione legale da tale eventualità. L’articolo 124 dello Statuto prevede che ogni Stato che ne diventi parte possa dichiarare che, per un periodo di sette anni dall’entrata in vigore dello Statuto, non riconoscerà la giurisdizione della CPI sui crimini di guerra se vi è la probabilità che il crimine sia stato commesso dai suoi cittadini o sul suo territorio. Questa possibilità non sussiste però se si emettono dichiarazioni di accettazione della giurisdizione dello Statuto di Roma ad hoc, come fatto dall’Ucraina nel 2014 e nel 2015.
In terzo luogo, chi si oppone alla ratifica dello Statuto di Roma è solito sottolineare che a questo trattato internazionale non hanno aderito Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quali Stati Uniti, Cina e, soprattutto, la Federazione Russa, che da dieci anni sta perpetrando un’aggressione armata contro l’Ucraina. Tuttavia, la mancata adesione di questi Stati allo Statuto di Roma non implica che i loro cittadini siano protetti dai procedimenti penali della CPI da una “cortina di ferro”. Ad esempio, il 17 marzo 2023 la Corte ha emesso mandati di arresto per Vladimir Putin e Marija L’vova-Belova per il caso di deportazione e trasferimento forzato di bambini ucraini. In aggiunta, la CPI sta indagando da diversi anni sulla situazione in Afghanistan, in cui potrebbero essere coinvolti cittadini statunitensi. Ma ha davvero senso che l’Ucraina prenda come riferimento gli Stati Uniti o, ad esempio, la Cina per orientarsi sulla ratifica dello Statuto di Roma, quando tutti i membri dell’UE, a cui l’Ucraina aspira a entrare, sono già parte di questo accordo internazionale? Lo Statuto di Roma non è incluso nel diritto dell’Unione Europea, tuttavia gli Stati membri coordinano le loro politiche di lotta ai crimini internazionali. Ad esempio, all’interno dell’Unione Europea funziona da anni la Rete per l’accertamento e il perseguimento del genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra. L’adesione degli Stati membri allo Statuto di Roma è parte della politica dell’UE sulla prevenzione dei crimini internazionali. Il fatto che gli obblighi di ratifica dello Statuto di Roma siano stati inclusi nell’Accordo di associazione con l’Ucraina dimostra, di fatto, quanto lo Statuto di Roma sia importante all’interno dell’UE.
In quarto luogo, un’altra argomentazione comunemente sollevata contro la ratifica dello Statuto di Roma è l’accusa di inefficienza della CPI. Si sostiene che la Corte, durante la sua attività, abbia condannato un numero piuttosto esiguo di imputati, i quali a volte hanno eluso i mandati d’arresto per lungo tempo (ad esempio, l’ex presidente sudanese Omar al-Bashir) e che i casi di assoluzione non siano rari (ad esempio, per Jean-Pierre Bemba), e così via. Queste critiche in parte ingigantiscono i problemi reali, in parte sono manipolazioni. La CPI è il primo tribunale penale internazionale permanente nella storia dell’umanità e, a differenza dei tribunali che hanno operato dopo la Seconda Guerra Mondiale o negli anni ‘90, esercita principalmente la sua giurisdizione su avvenimenti (conflitti armati o altre violenze di massa) che sono in corso nel momento in cui le indagini vengono avviate, e non su avvenimenti accaduti nel passato. Ciò rende oggettivamente difficile per la CPI individuare e raggiungere i presunti responsabili di crimini internazionali, che possono effettivamente nascondersi dietro posizioni di potere o dietro la “nebbia della guerra”, ma ciò non significa che l’esistenza della CPI non abbia senso. Solo un’istituzione giudiziaria internazionale permanente ha la capacità, da un lato, di resistere alle influenze politiche esterne e di garantire un’imparziale amministrazione della giustizia e, dall’altro, di reagire prontamente di fronte a nuovi casi di crimini internazionali. Non deve sorprendere neppure il numero relativamente esiguo di condanne emesse dalla CPI, poiché, come già detto, questo Tribunale è destinato a perseguire e punire coloro che si trovano ai vertici della gerarchia di potere. Pertanto, fin dall’adozione dello Statuto di Roma, era chiaro che la CPI non avrebbe operato in maniera automatizzata, come una sorta di “catena di montaggio giudiziaria”. In fondo, tutti i tribunali penali internazionali, e non solo la CPI, hanno emesso sentenze di assoluzione (ad esempio, il Tribunale di Norimberga ha assolto H. Fritzsche, F. von Papen e H. Schacht). Questo non è una prova che i tribunali penali internazionali manchino di poteri, ma dimostra piuttosto che il loro obiettivo è stato e continua a essere quello di dispensare una giustizia vera e non fittizia o di facciata.
Tornando al rapporto della Commissione Europea a cui si faceva riferimento all’inizio di questo articolo, occorre constatare che non è un caso che si faccia ripetutamente riferimento ai “compiti a casa” non svolti dall’Ucraina, intendendo la ratifica dello Statuto di Roma. Si può affermare con quasi assoluta certezza che l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea non avverrà senza la ratifica dello Statuto. A questo punto, ha senso ritardare ulteriormente questo passo?!