Case e destini distrutti nella regione di Chernihiv
Ciò che più colpisce nei territori liberati sono le persone. Persone forti, incrollabili, che continuano a vivere nonostante le tragedie personali. Litigano in fila per essere ricevuti al consiglio del villaggio, acquistano terreno per un’azienda agricola individuale durante la guerra, preparano tè con cioccolatini per scaldarsi in assenza di riscaldamento, gestiscono la loro piccola impresa da una bottega dove recentemente hanno installato un generatore, perciò la mancanza della luce non li spaventa più. Sono spaventati dai rumori lontani delle esplosioni, anche se sanno che tutti gli artificieri locali lavorano. Stanno tornando a casa dall’estero e si stanno mettendo all’opera. Forse a volte piangono, ma vivono. E ridono sinceramente, ridono disperatamente, e tu, arrivato da una Kiev relativamente prospera, ti vergogni dei tuoi momentanei attacchi di depressione a causa della mancanza di luce o del prossimo bombardamento.
Quindi questa pubblicazione sarà sulle persone e per le persone. Su come sono rimasti in vita e sono sopravvissuti. La mattina presso gli avvocati del Gruppo di protezione dei diritti umani di Khar’kiv (KhPG) sono in fila proprio queste persone: ognuno con una tragedia alle spalle. Tutti loro provengono dalla comunità territoriale di Ivanivka nella regione di Chernihiv, che nella regione ha sofferto maggiormente a causa dell’invasione russa. Per prima arriva una donna il cui figlio è stato fucilato. Gli hanno sparato proprio davanti agli occhi, il primo giorno dell’occupazione russa sono entrati nel cortile, hanno puntato la mitragliatrice e hanno sparato. Con lui non hanno neanche parlato. Suo figlio non era un militare, un poliziotto e nemmeno un attivista sociale. L’unico motivo per cui gli hanno sparato è perché era un maschio. Lei, così come alcuni, accetta di rilasciare un’intervista. Vuole che il mondo intero conosca la sua storia.
Un’altra vittima viene con una figlia piccola. La figlia ha un anno e undici mesi, suo padre è morto sei mesi fa, semplicemente uscendo in strada. Gli hanno sparato perché è ucraino. La donna accarezza la figlia e le dà da mangiare dei cioccolatini “statali” dalla scrivania di una dipendente del consiglio del villaggio. A prima vista è comune, bella, felice. Se non si sa cosa c’è lì: sui documenti nella cartellina.
Ancora un’altra vittima racconta che sua figlia e i due nipoti avevano tentato di evacuare dal villaggio occupato. Hanno percorso una strada apparentemente sicura, ma si sono sbagliati, e adesso alla donna non sono rimasti né la figlia, né i nipoti. Alla domanda con chi vive adesso, la donna inizia a piangere. Non ha più nessuno con cui vivere.
Le vittime mostrano fotografie di parenti deceduti, che fa la polizia. Alcuni di loro erano all’esumazione. È difficile immaginare come possano guardare simili foto e come possano mostrarle ai documentaristi e non piangere. Alcuni parenti sono stati seppelliti dai vicini in mezzo all’orto, ma non subito, solo quando i russi lo hanno permesso. “Meno male che almeno marzo è stato freddo…”, conclude un uomo.
Successivamente, arriva una donna di 76 anni e scherza sempre così l’intero gruppo del consiglio del villaggio ride. Durante i bombardamenti dell’artiglieria la donna è stata ferita gravemente. Scherza anche sulle ferite. Distrae sempre tutti, i compaesani affermano: spesso balla anche in strada. L'intero villaggio la conosce e tutti i bambini del posto le vogliono bene.
Un’altra donna ferita racconta con entusiasmo che i russi hanno portato via suo marito in cura in Bielorussia, e lì i medici bielorussi gli hanno rilasciato il foglio di dimissioni dell’ospedale in ucraino, perfino con la scritta “Gloria all'Ucraina!”, dimostrandogli così il loro attaccamento verso il popolo ucraino.
Ancora un’altra donna ferita, alla quale dei chirurghi stranieri hanno miracolosamente salvato una gamba, invece si lamenta: il traumatologo locale si rifiuta di registrare un gruppo e sostiene che non è invalida. Secondo la donna, in realtà vuole dei soldi.
Nel villaggio i nostri avvocati e documentaristi lavorano fino al tramonto e anche al buio, perché spengono la luce ripetutamente durante le visite. Nel locale del consiglio del villaggio fa molto freddo perché non c’è il riscaldamento. Le finestre sono state fatte saltare durante le attive azioni militari nel villaggio e non le hanno rimontate. Allora un proiettile russo ha distrutto l'edificio vicino, il club, mentre l'edificio del consiglio del villaggio è rimasto in piedi.
Alla domanda sul motivo per cui non ci sono ancora finestre, il capo villaggio spiega che non vale la pena montare le finestre nel consiglio del villaggio, quando molti dei suoi compaesani non hanno la possibilità di mettere i vetri alla propria casa. Capisci subito che questa donna soffre veramente per la sua gente. Lei stessa ha vissuto una tragedia personale, ma ne parla malvolentieri.
Avendo terminato le visite, i documentaristi procedono a registrare i danni nella comunità. Il viaggio attraverso la comunità richiede molto tempo. I villaggi più danneggiati sono sei. Ispezionarli richiede quasi un’intera giornata. A prima vista, sembra che i villaggi non siano molto danneggiati, tuttavia effettivamente nella comunità sono state completamente distrutte 271 abitazioni, e altrettante sono state parzialmente danneggiate. Certo, in sei mesi molto è stato ricostruito con le forze delle persone, però è improbabile che riescano a ricostruire tutto: ci sono abitazioni in cui non è proprio possibile vivere.
Per il villaggio camminano persone, che accompagnano l’automobile di monitoraggio con sguardo interessato, ma non fanno domande: sanno che sono arrivati ospiti da Khar’kov. La comunità ha un rapporto benevolo con gli ospiti: offrono tè caldo e patate.
Infine, nella tarda serata buia, sulla strada per Chernihiv, ci imbattiamo in un posto di blocco. Mentre uno dei soldati controlla attentamente i documenti dei documentaristi, gli altri giocano con insistenza a palle di neve. Cade una pioggia gelida, una glassa di ghiaccio ricopre la strada e loro scivolano, ridono e continuano a giocare. Guardando loro, tutte queste persone dalla regione di Chernihiv, capisci che il nostro paese è invincibile. Abbiamo imparato a vivere appieno perfino durante la guerra. Perfino dopo le tragedie vissute.