Niente potrà fermare il desiderio di libertà degli esseri umani (di A. Bjaljacki e N. Pinčuk)

L'attivista bielorusso, premio Nobel per la pace, è attualmente in carcere, imprigionato per motivazioni politiche. A ritirare il premio a Oslo è stata la moglie.
01 Febbraio 2023UA DE EN ES FR IT RU

Наталія Пінчук, дружина Олеся Біляцького © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Natalja Pintschuk, die Ehefrau von Ales Bialiatskij © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Natallia Pinchuk, wife of Ales Bialiatski © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Natalia Pinchuk, esposa de Ales Bialiatski © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Natalia Pintchouk, épouse d’Ales Bialiatski © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK La moglie di Ales’ Bjaljacki, Natallja Pinčuk © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Наталья Пинчук, жена Алеся Беляцкого © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK

La moglie di Ales’ Bjaljacki, Natallja Pinčuk © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK

Vostre Maestà, Vostre Altezze Reali, illustri membri del Comitato per il Nobel, illustri ospiti!

Sono estremamente emozionata e lusingata di avere l’onore di intervenire qui durante la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace 2022 ai vincitori e alle vincitrici. Tra loro vi è mio marito, Ales’ Bjaljacki.

Purtroppo, lui non può essere qui a ricevere il premio di persona. È illegalmente detenuto in Belarus’. Proprio per questo ci sono io su questa tribuna.

Desidero esprimere una profonda riconoscenza al Comitato per il Nobel norvegese, la cui decisione ha accresciuto la risolutezza di Ales’ nel restare saldamente fedele alle sue convinzioni. Questa decisione dà a tutti i bielorussi la speranza di poter contare sulla solidarietà del mondo democratico nella lotta per i loro diritti, a prescindere da quanto durerà.

Grazie infinite a tutti coloro che hanno sostenuto Ales’, i suoi amici e la sua causa in tutti questi anni e continuano a farlo tuttora.

Vorrei congratularmi di tutto cuore col Centro per le libertà civili e l’associazione internazionale Memorial per il meritato premio. Ales’ e tutti noi comprendiamo quanto sia importante e rischiosa la missione di difendere i diritti umani, in particolare nell’epoca tragica dell’aggressione russa contro l’Ucraina.

A trovarsi in prigione non è solo Ales’, ma anche migliaia di bielorussi, decine di migliaia di persone colpite da repressioni, incarcerate ingiustamente per il loro impegno civile e le loro convinzioni. In centinaia di migliaia sono stati costretti a lasciare il paese solo perché volevano vivere in uno stato democratico. Purtroppo, in Belarus’ è in corso da anni una guerra dei vertici contro il loro stesso popolo, la lingua, la storia e i valori democratici. Lo dico qui con immenso dolore e cautela, perché gli odierni eventi politici e bellici mettono a repentaglio la tenuta come stato e l’indipendenza della Belarus’.

Purtroppo, le autorità preferiscono interagire con la società attraverso la forza — granate, manganelli, taser, interminabili arresti e torture. Di un compromesso nazionale o un dialogo nemmeno a parlarne. Perseguitano ragazze e ragazzi, donne e uomini, minorenni e anziani. Nelle prigioni bielorusse regna il volto disumano del sistema, soprattutto per coloro che sognavano di essere persone libere!

Alla luce di questa situazione non appare un caso che il regime abbia arrestato Ales’ e i suoi collaboratori del centro “Vjasna-96” per le loro idee democratiche e il loro impegno civile: Marfa Rabkova, Valjancin Stefanovič, Uladzimir Labkovič, Ljeanid Sudaljenka, Andrej Čapjuk e altri attivisti per i diritti umani si trovano in carcere. Altri sono ancora sotto indagine e sono accusati dalla procura, altri ancora sono stati costretti a espatriare. Ma il centro per i diritti umani “Vjasna-96”, fondato più di venticinque anni fa da Ales’ e dai suoi collaboratori, non potrà essere schiacciato, fermato, arrestato! [Qui sono riprese le parole di una poesia di Maksim Bahdanovič (1891–1917), Pahonja, messa poi in musica da Mikalaj Ščahloŭ-Kulikovič. La canzone è diventata l’inno delle proteste del 2020, N.d.T.].

Ales’ non è riuscito a trasmettere il testo della sua dichiarazione dal carcere, ma ha fatto in tempo a dirmi a voce poche parole. Così condividerò con voi i suoi pensieri, sia quelli attuali, sia quelli espressi in precedenza. Si tratta di brani di sue precedenti dichiarazioni, scritti e meditazioni. Ecco le sue riflessioni sul passato e il futuro della Belarus’, sui diritti umani, sul destino del mondo e la libertà.

Lascio la parola ad Ales’.

Accade che proprio coloro che tengono di più alla libertà spesso ne siano privati. Ricordo i miei amici — difensori dei diritti umani di Cuba, dell’Azerbaigian, dell’Uzbekistan, ricordo Nasrin Sotoudeh, mia sorella in spirito dell’Iran. Ammiro moltissimo il cardinale Joseph Zen di Hong Kong. Migliaia di persone in Belarus’ si trovano attualmente dietro le sbarre per motivi politici e tutti loro sono miei fratelli e sorelle. Niente potrà fermare il desiderio di libertà degli esseri umani.

Oggi l'intera Belarus’ è in prigione. Ci sono giornalisti, politologi, capi dei sindacati, e fra loro molti miei conoscenti e amici… I tribunali lavorano come una catena di montaggio: i condannati sono portati nelle colonie e al loro posto arrivano nuove ondate di prigionieri politici…

Questo premio appartiene a tutti i miei amici difensori dei diritti umani, a tutti gli attivisti civili, alle decine di migliaia di bielorussi che hanno conosciuto pestaggi, torture, arresti, prigioni.

Questo premio appartiene ai milioni di cittadini della Belarus’ che si sono battuti per i propri diritti civili. Al contempo, fa luce sulla situazione drammatica e la lotta per i diritti umani nel paese.

Di recente ho avuto una breve conversazione.

— Quando ti libereranno? — mi hanno chiesto.

— Ma io sono già libero, nella mia anima — ho risposto.

La mia anima libera si libra sulle segrete e sulla sagoma a foglia d’acero della Belarus’.

Scruto dentro di me, e i miei ideali non sono cambiati, non hanno perso il loro valore, non sono sbiaditi. Sono sempre con me e io li custodisco come posso. È come se fossero fatti d’oro: non si copriranno mai di ruggine.

Noi vogliamo costruire una società più armoniosa, giusta e attenta ai bisogni dei suoi figli e delle sue figlie. Ottenere una Belarus’ indipendente, democratica, libera da costrizioni provenienti dall’estero. Sogniamo che sia un Paese pieno di calore, in cui sia bello vivere.

È un’idea nobile, in linea con le idee globali di civiltà. Non sogniamo qualcosa di particolare o insolito, vogliamo semplicemente “dirci esseri umani”, come diceva il nostro classico Janka Kupala [riferimento al verso conclusivo della poesia A chto tam idzje (E chi è là, 1905–1907) di Janka Kupala (1882–1942), N.d.T.]. Si tratta del rispetto per noi stessi e per gli altri, di diritti umani, di una vita democratica, del riconoscimento della lingua bielorussa e della nostra storia.

Ho iniziato presto a essere critico verso la realtà sovietica. Fra l’altro, mi sono scontrato con drastiche limitazioni nell’uso della lingua bielorussa, con una politica di ‘debielorussizzazione’ che si conduceva allora come ai giorni nostri. L’ex dipendenza coloniale della Belarus’ è una realtà eterna. Di conseguenza, persiste ancora la minaccia per l’esistenza dei bielorussi come nazione e popolo.

Sarebbe un grave errore separare i diritti umani dai valori di identità e indipendenza. Sono attivo nel movimento indipendentista clandestino dal 1982, di fatto da quando ho compiuto 20 anni. Il suo obiettivo era la creazione di una Belarus’ democratica e indipendente in cui fossero rispettati i diritti umani. Non ci può essere una Belarus’ senza democrazia, né ci possono essere diritti umani senza una Belarus’ indipendente. E la società civile deve avere un grado di autonomia che garantisca l’incolumità del cittadino di fronte alle persecuzioni da parte delle autorità statali.

Io ci credo, perché so che la notte finisce e poi arrivano il mattino e la luce. So che ciò che ci spinge ad andare sempre avanti sono la speranza e i sogni.

Martin Luther King ha pagato il suo sogno con la vita, gli hanno sparato. Il prezzo per il mio sogno è più piccolo, ma con pesanti conseguenze. Non rimpiango nulla. Il mio sogno vale tutti i sacrifici personali. I miei ideali corrispondono agli ideali dei miei amici più anziani e mentori spirituali — il ceco Václav Havel e il bielorusso Vasil’ Bykaŭ [(1924–2003) fu uno scrittore e politico bielorusso, inviso al regime. In italiano sono disponibili Gli ultimi tre giorni (Milano, Mursia, 1974) e La disfatta (Milano, Spirali, 2000), N.d.T.]. Entrambi hanno subito molte prove nella loro vita, hanno fatto progredire i loro popoli e la loro cultura, entrambi hanno lottato per la democrazia e i diritti umani fino all’ultimo istante della loro vita.

È impossibile far crescere tutto d’un tratto un buon raccolto in un campo vuoto. Il campo va prima ben concimato, bisogna levare le pietre… E ciò che il governo comunista ha lasciato in Belarus’ dopo 70 anni si può definire terra bruciata…

C’è stato un tempo, alla fine degli anni Ottanta, in cui ci conoscevamo letteralmente uno per uno… Ma all’inizio degli anni Novanta eravamo migliaia e decine di migliaia…

Il 9 agosto 2020 in Belarus’ si sono tenute le elezioni presidenziali. I massicci brogli hanno indotto la gente a uscire in strada. Si sono scontrati il Bene e il Male. Il Male era ben armato. Dalla parte del Bene c’erano solo proteste di massa pacifiche che avevano fatto riunire centinaia di migliaia di persone, come non se n’erano mai viste prima nel paese.

Le autorità hanno scatenato il meccanismo repressivo di torture e omicidi in tutta la sua forza — ne sono caduti vittima Raman Bandarenka, Vitol’d Ašurak e molti altri.

Si tratta del massimo grado di repressione, inimmaginabile per la crudeltà esercitata. Esseri umani subiscono terribili torture e sofferenze inimmaginabili.

Le celle e le prigioni ricordano più i bagni pubblici sovietici, e la gente vi è tenuta per mesi ed anni. Sono assolutamente contrario al fatto che le donne siano detenute in prigione, ma immaginate la loro condizione in una prigione in Belarus’, in questa filiale dell’inferno in terra!

Le dichiarazioni di Lukašenka confermano che alle sue forze dell’ordine è stata data carta bianca nel fermare la gente ricorrendo all’intimidazione e terrorizzando le masse.

Ma i cittadini della Belarus’ esigono giustizia. Esigono che chi ha commesso crimini di massa sia punito. Esigono elezioni libere. La Belarus’ e la società bielorussa non saranno mai più come prima, quando le loro mani e i loro piedi erano completamente legati. La gente si è svegliata…

Oggi la costante lotta del bene e del male si è dispiegata quasi nella sua forma più pura per tutta la regione. Il vento freddo dell’est si è scontrato col caldo rinascimento europeo.

Non basta essere istruiti e democratici, non basta essere umani e misericordiosi. Dobbiamo saper difendere le nostre conquiste e il nostro Paese. Non a caso nel medioevo il concetto di Patria era legato a quello di libertà.

So perfettamente quale Ucraina andrebbe bene alla Russia e a Putin: una dittatura dipendente. Proprio come la Belarus’ di oggi, dove la voce del popolo oppresso non viene ascoltata.

Basi militari russe, una colossale dipendenza economica, russificazione linguistica e culturale — ecco la risposta a chi chiede da che parte stia Lukašenka. Le autorità bielorusse sono indipendenti solo nella misura in cui glielo consente Putin. Pertanto, è indispensabile lottare contro l’“internazionale delle dittature”.

Io sono un difensore dei diritti umani e quindi un sostenitore della resistenza non violenta. Per natura non sono una persona aggressiva, cerco sempre di comportarmi coerentemente con questi principi. Tuttavia, riconosco che il bene e la verità devono potersi difendere.

Come meglio posso, mantengo la pace nella mia anima, la coltivo come un fiore delicato, bandisco l’ira. E prego che la realtà non mi costringa a dissotterrare quell’ascia seppellita tanto tempo fa, e a difendere la verità con l’ascia in mano. Pace. Che la pace resti nella mia anima.

E il 10 dicembre voglio ripetere a tutti: “Non abbiate paura!”. Sono le parole che pronunciò il Papa di Roma Giovanni Paolo II negli anni Ottanta, quando andò nella Polonia comunista. Allora non disse nulla di più, ma questo bastò. Io ci credo, perché so che dopo l’inverno viene sempre la primavera.

Ho citato Ales’ Bjaljacki. E concludo il discorso con le invocazioni della sua anima:

Libertà al popolo bielorusso! Libertà a Vjasna! Viva la Belarus’!

© The Nobel Foundation 2022

Tradotto da Viviana Nosilia, Memorial Italia.

Condividere l'articolo