‘La persona non può essere materiale di consumo per risolvere i problemi di uno Stato’ Jan Račinskij

Discorso del Presidente del consiglio direttivo dell’associazione internazionale ‘Memorial’ alla Nobel Peace Conference: Human Rights Heroes, Oslo, 31 agosto 2023.
Jan Račinskij11 Settembre 2023UA DE EN ES FR IT RU

Голова правління “Міжнародного Меморіалу” Ян Рачинський © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Jan Raczynski, Vorstandsvorsitzender von Memorial International © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Jan Rachinsky, chairman of International Memorial © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Presidente de la Junta Internacional Memorial Yan Rachinsky © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Le président de “Memorial International” Ian Ratchinski © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Jan Račinskij © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Председатель правления “Международного Мемориала” Ян Рачинский © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK

Jan Račinskij © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK

Signore e Signori,

vorrei illustrare la situazione di tutti gli attivisti civili in Russia, non solo degli attivisti per i diritti umani.

Nell’ultimo anno e mezzo 634 persone, in 78 regioni diverse, sono state incriminate per essersi espresse contro la guerra; tra questi 200 sono state condannate: 181 alla detenzione, 11 agli arresti domiciliari, 8 a trattamenti sanitari obbligatori. Non posso elencare tutti i loro nomi.

Dopo l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”, fu prontamente approvata una legge, che puniva con la detenzione chi l’avesse descritta in modo diverso da “impiego delle Forze Armate della Federazione Russa a scopo di difesa degli interessi dello Stato e dei suoi cittadini, di sostegno della pace e della sicurezza internazionale”. Tra le persone incarcerate per le proprie dichiarazioni contro la guerra vi sono: il consigliere municipale Aleksej Gorinov, condannato a 7 anni per aver denunciato, durante una seduta del consiglio, la morte di bambini ucraini per effetto della guerra iniziata dalla Russia; il leader politico di opposizione Il’ja Jašin che aveva osato fare domande sui fatti di Buča; Igor’ Baryšnikov, pensionato della regione di Kaliningrad, unico sostegno della madre novantasettenne, nel giugno di quest’anno è stato condannato a 7 anni e mezzo per aver pubblicato messaggi contro la guerra sui social media. La madre è morta a inizio agosto e a lui è stato negato il permesso di assistere ai suoi funerali.

Molti sono ancora in attesa della sentenza, ma sono già detenuti con le stesse accuse: tra questi Maksim Lypkan’, di 18 anni, che aveva chiesto il permesso per tenere un meeting contro la guerra nell’anniversario dell’invasione russa.

Più di 19.000 persone sono state arrestate e multate per essersi espresse contro la guerra, o addirittura per aver pronunciato la parola “guerra”.

Due settimane fa è stato arrestato Grigorij Mekon’janc, responsabile dell’organizzazione Golos (Voce), che da molti anni monitora le elezioni in Russia e denuncia irregolarità; molti attivisti di Golos hanno subito perquisizioni. Nonostante i maggiori oppositori dell’attuale regime (Vladimir Kara-Murza, Aleksej Naval’nyj e altri) siano già in carcere, il potere teme la presenza di osservatori alle prossime elezioni.

Sono stati arrestate e sono in carcere da 4 mesi la regista Evgenija Berkovič e la drammaturga Svetlana Petrijčuk. Nella loro opera, che un anno fa aveva ricevuto uno dei principali premi teatrali russi, improvvisamente è stata individuata “propaganda terrorista”…

È stato arrestato Aleksandr Černyšov, responsabile del Centro per la memoria storica di Perm’, con l’assurda accusa di “tentativo di esportazione dell’archivio”.

Ho nominato solo qualche esempio, ma, come ho detto, ci sono centinaia di casi.

Purtroppo le possibilità di garantire una difesa processuale si sono ridotte a livelli molto simili a quelli sovietici. È da molto tempo che i tribunali russi non difendono il diritto: i giudici eseguono quasi sempre docilmente le indicazioni del ministero della giustizia e della procura. Questo problema non riguarda solo la Russia, ma da noi è particolarmente spinoso. Per risolverlo credo sarebbe utile un accordo internazionale sull’inapplicabilità della prescrizione per i reati contro l’amministrazione della giustizia. Tutti coloro che contribuiscono a scardinare questa istituzione — i poliziotti che stendono verbali falsi, gli inquirenti e i procuratori che formulano false accuse e, ovviamente, i giudici che emettono condanne ingiuste — devono capire che ne risponderanno.

Vengono perseguiti attivisti civili e organizzazioni pubbliche. Sono state sciolte con pretesti assurdi numerose organizzazioni di grande autorevolezza: il gruppo Helsinki di Mosca, il Centro Sacharov, Agorà, il Centro analitico di informazioni Sova.

Dopo le decisioni del tribunale di chiudere Memorial Internazionale per l’etichettatura “non conforme” di alcuni testi, con lo stesso ridicolo pretesto è stato soppresso il Centro per i Diritti Umani Memorial. È stato soppresso anche Memorial di Perm’ e a quello di Ekaterinburg è stata requisita la sede. Nel marzo di quest’anno sono state effettuate perquisizioni nelle abitazioni di alcuni attivisti di Memorial di Mosca ed è stata intentata una causa penale contro la nostra organizzazione con l’accusa di “giustificazione del nazismo”. Il regime di Putin ha cessato da tempo di preoccuparsi della legittimità delle accuse.

Oltre alla soppressione le autorità hanno escogitato altre forme di pressione sulle organizzazioni, modi diversi di ostacolare il loro lavoro.

Uno di questi è l’inserimento di queste associazioni (e ultimamente anche di singole persone) nel cosiddetto “registro degli agenti stranieri”. Questa procedura si svolge al di fuori di qualunque iter giuridico, unicamente con la decisione arbitraria dei funzionari del ministero della giustizia. Sono stati inseriti in questo registro il Centro Levada, uno dei maggiori centri di ricerche sociologiche, la Fondazione per la difesa della glasnost’, una serie di organizzazioni facenti parte di Memorial, il gruppo di difesa dei diritti umani Graždanin. Armija. Pravo (Cittadino. Esercito. Diritto) che aiuta le persone arruolate per la guerra, la già menzionata Associazione Golos, che difende i diritti degli elettori, la Fondazione per la difesa dei diritti dei carcerati, il Presidio ecologico di Sachalin e decine di altre.

L’altra forma di pressione, meno estesa, ma decisamente più pesante è la notifica di “organizzazione indesiderata” diretta alle organizzazioni straniere o internazionali presenti in Russia. Questo provvedimento viene deciso dalla procura generale, anch’esso senza una procedura giuridica e senza indicazione dei motivi. Tra queste organizzazioni “indesiderate” (ormai più di cento) vi sono Green Peace, Transparency International, il WWF, il canale televisivo indipendente Dožd’ (TV Rain) e molti altri. La collaborazione con queste organizzazioni comporta il rischio di procedimenti penali per i cittadini e le organizzazioni russe. E dal momento che nella nostra legislazione non vi è precisione terminologica, qualunque contatto può essere considerato “collaborazione”: un’intervista a un media “indesiderato” e, verosimilmente, anche uno scambio di corrispondenza.

Come ha già dimostrato l’esperienza dei dissidenti sovietici, la mancanza di uno stato giuridico delle organizzazioni e talvolta anche le repressioni penali contro i loro rappresentanti ne ostacolano l’attività ma non la vanificano del tutto. L’attività delle associazioni non è un capriccio di singole persone, ma una necessità sociale talvolta indispensabile. Soprattutto in questo periodo, quando i diritti sanciti dalla Costituzione diventano pura finzione, come ai tempi dell’URSS, quando è completamente abolita la libertà di parola e tutti i maggiori canali d’informazione sono in mano al governo e diventano strumenti non già d’informazione, ma di propaganda.

Anche ora i rifugiati e gli sfollati interni sono bisognosi d’aiuto, si è terribilmente aggravato il problema della difesa dei diritti dei militari e delle reclute, permangono le difficoltà per gli invalidi e i carcerati, continuano le persecuzioni degli oppositori del regime, non vengono indagati i casi di tortura e di sparizione e occorre continuare a opporsi ai brogli elettorali. Gli attivisti civili si occupano di tutti questi problemi, piaccia o meno ai vari funzionari.

Quest’attività è diventata difficile e rischiosa come nel periodo sovietico, ma continua, anche se è incomparabilmente più difficile ottenere risultati. I nostri predecessori 40 anni fa non si sono arresi e non lo faremo neppure noi.

In conclusione vorrei dire ancora qualche parola.

Io rappresento qui Memorial, un’associazione di persone che si occupano della memoria di un passato tragico. Non si può costringere le persone a dimenticare il passato, tanto più se quel passato ritorna. E questo ritorno si è già di fatto realizzato.

Il ritorno ai metodi sovietici di repressione del dissenso si affianca alla riproposizione dei miti storici sovietici, assurdamente distorti e amplificati. Ad esempio, il patto del 1939 con Hitler, di cui si vergognava persino la propaganda sovietica, giustificandolo come una necessità e occultandone i protocolli segreti, ora viene proclamato un trionfo della diplomazia sovietica.

Formalmente il potere non ha rivisto le sue posizioni sul terrore comunista, ma in molte città russe compaiono monumenti a Stalin, spesso fatti erigere dalle autorità locali.

È appena stato pubblicato un nuovo manuale di storia, che ripresenta le vecchie idee dell’"accerchiamento nemico” e dell’eccezionalità della Russia. La storia fabbricata dalla propaganda diventa un’arma ideologica.

Il dibattito riguarda non solo i fatti storici, ma anche le basi della convivenza civile.

La persona non può essere materiale di consumo per risolvere i problemi di uno Stato, come immaginano le attuali autorità russe. L’uomo è il padrone dello Stato e il suo costruttore.

Non dovrebbe essere lo Stato a definire come deve vivere la gente, ma viceversa la gente a decidere come dev’essere lo Stato.

Non sono ideali filosofici astratti, ma prammatica di sopravvivenza della società.

Le organizzazioni sociali e gli attivisti, gli attivisti per i diritti umani sono come “fusibili”, segnalatori di guasti, del corso pericoloso degli eventi.

Ostacolando l’autorganizzazione dei cittadini e limitando la libertà d’opinione, lo Stato distrugge il proprio futuro e il futuro della società.

Lo Stato che infrange i diritti dei propri cittadini diventa pericoloso per gli altri Stati.

Per questo, tornando al tema del nostro incontro odierno, il sostegno degli attivisti che difendono i diritti dei cittadini, è compito e interesse comune degli uomini di buona volontà. Sostegno sia per chi continua a lottare restando nel proprio paese, sia per chi è costretto a emigrare.

È un compito estremamente importante. E io mi auguro che la comunità mondiale si impegni a farvi fronte.

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