La fabbrica metalmeccanica di Vovchansk: una prigione russa di stampo ceceno

L’impresa che una volta dava lavoro a tremila persone ora è diventata un luogo dove le persone scompaiono, mentre quelle che fanno ritorno preferiscono tacere.
Iryna Skachko07 Settembre 2022UA DE EN ES FR IT RU

Ілюстрація: Сергій Приткін/ХПГ, на основі зображень від Вовчанського агрегатного заводу, dreamstime.com, wikimapia.org Ilustración: Serhii Prytkin/GDHK, a partir de las imágenes de la fábrica de maquinaría de Vovchansk, dreamstime.com, wikimapia.org Illustration : Sergyi Prytkine/ Groupe de défense des droits humains de Kharkiv (GDDhKh), à partir d’une image de l’usine d’agrégats de Vovtchansk, dreamstime.com, wikimapia.org Illustrazione: Serhiy Prytkin /KhPG, basato sull’immagine della Fabbrica metalmeccanica di Vovchansk, dreamstime.com, wikimapia.org Иллюстрация: Сергей Прыткин/ХПГ, на основе изображений Волчанского агрегатного завода, dreamstime.com, wikimapia.org

Illustrazione: Serhiy Prytkin /KhPG, basato sull’immagine della Fabbrica metalmeccanica di Vovchansk, dreamstime.com, wikimapia.org

La fabbrica metalmeccanica di Vovchansk si trova quasi al centro della città, fra il parco centrale con i giochi per bambini e la spiaggia cittadina. Lì vicino c’è il ponte sul fiume Vovcha, dove i novelli sposi amavano appendere un lucchetto come augurio di felice vita coniugale. Ora c'è un posto di blocco nemico, di solito presidiato da miliziani della Repubblica Popolare del Donetsk. Per molti abitanti di Vovchansk proprio questo ponte è diventato il punto di partenza delle loro peregrinazioni. Basta un contatto sospetto nel telefono o, peggio ancora, un tatuaggio “sbagliato” per finire dentro le mura della fabbrica.

Nell’impresa che una volta dava lavoro a tre mila persone ora, secondo quanto riferito da alcuni residenti locali, c’è un “covo” nemico: un luogo dove le persone scompaiono, e quelle che fanno ritorno preferiscono tacere.

“Alle sette di mattina erano già in città”

Vovchansk è stata occupata nelle prime 24 ore dall’inizio della guerra su vasta scala.

Tetiana, una residente del posto il cui nome è stato modificato per motivi di sicurezza, visto che la donna è sfollata a Kharkiv ma i suoi parenti sono rimasti nei territori occupati, ci racconta di quella mattina: “Abitiamo vicinissimo alla frontiera russa. Alle sette del mattino circa, il 24 febbraio, i russi erano già in città. C’erano colonne di carri armati, i blindati, la fanteria… Tutte le fabbriche si sono fermate subito. Due ponti sono stati fatti saltare. È scoppiato il panico.

A Vovchansk non c’è un panificio. Il pane veniva portato di solito da Kharkiv o da Nova Vodolaha. C’era un piccolo forno privato proprio sul territorio della fabbrica, che provvedeva al pane per le famiglie dei lavoratori e una piccola parte della produzione era in vendita per gli esterni.

“Già a marzo lì dentro si sono sistemati i ruscisti, – ricorda Tetiana. – Ci portavano le persone non gradite: veterani dell’operazione antiterroristica [l’operazione ucraina in Donbass], ex-guardie di frontiera, poliziotti. Li interrogavano. Dopo aver esaurito questo gruppo, ci hanno portato chiunque non volesse collaborare con gli occupanti.”

Secondo quanto riferito dall’abitante di Vovchansk, all’inizio prendevano solo gli uomini, poi sono passati alle donne, per esempio quelle che avevano avuto il marito o avevano un figlio nelle forze armate ucraine.

“È terrificante. Arriva una grossa macchina marchiata con la Z, carica di uomini con il mitra in mano. Scavalcano la recinzione, se le porte sono chiuse le sfondano.”

Chi viene portato dentro la fabbrica si trova sotto una pressione enorme. Anche chi viene rilasciato dopo qualche giorno, ne esce devastato, non risponde alle telefonate, non vuole raccontare cosa gli è successo. La gente viene intimidita, ricattata con la minaccia di colpire la famiglia, i figli.

Супутниковий знімок Вовчанського агрегатного заводу. На мосту праворуч розташовано сумнозвісний блокпост. Ⓒ Google Maps/Maxar Imagen satelital de la fábrica de maquinaria de Vovchansk. En el puente a la derecha está el mustio puesto de control. Ⓒ Google Maps / Maxar Image satellite de l’usine d’agrégats de Vovtchansk. Sur le pont, à droite, se trouve le check-point tristement célèbre. Ⓒ Google Maps/Maxar Foto satellitare della fabbrica metalmeccanica di Vovchansk. Sul ponte a destra si trova il posto di blocco tristemente noto. Ⓒ Google Maps/Maxar Спутниковый снимок Волчанского агрегатного завода. На мосту справа расположен печально известный блокпост. Ⓒ Google Maps/Maxar

Foto satellitare della fabbrica metalmeccanica di Vovchansk. Sul ponte a destra si trova il posto di blocco tristemente noto. Ⓒ Google Maps/Maxar

Le prime comunicazioni ufficiali su quanto accade nella fabbrica metalmeccanica risalgono ad aprile. In una trasmissione televisiva, il capo dell’Amministrazione militare di Kharkiv Oleh Syniehubov aveva dichiarato: “Nella città di Vovchansk gli occupanti hanno smontato e trasferito sul territorio della federazione russa una delle fabbriche, e nei locali di questa fabbrica hanno organizzato una prigione, un vero campo di concentramento, dove le persone vengono torturare, costrette a collaborare, arruolate nelle forze armate russe”.

Poco dopo l’informazione riguardante la fabbrica è stata confermata anche dalla Procura. Il capo della Procura regionale di Kharkiv Oleksandr Filchakov ha dichiarato che è in corso un’indagine preliminare sulla fabbrica: “Gli occupanti vi trattengono le persone illegalmente, sottoponendole a violenza fisica e psicologica… Avremo il quadro completo soltanto quando l’esercito ucraino riprenderà il controllo del territorio di tutti i municipi occupati”.

Perché proprio la fabbrica metalmeccanica?

Oleh Toporkov, vicedirettore del complesso di Vovchansk, sa tutto della fabbrica. Lui stesso ha vissuto alcuni mesi sotto l’occupazione, nascondendosi dai russi.

“La fabbrica metalmeccanica occupa uno spazio piuttosto ampio, dove sono ubicati i reparti produttivi principali, le palazzine di servizio, una mensa con 500 coperti. Poi ci sono spazi destinati alle riparazioni, alle esigenze quotidiane, – racconta non senza orgoglio. – Il reparto più grande, il №. 20, è un edificio rettangolare, che raggiunge nella parte centrale l’altezza di 8 metri, al quale sono state aggiunte due ali laterali di tre piani di altezza. Lì ci sono gli spogliatoi, gli uffici e i magazzini.”

Олег Топорков був змушений кілька місяців жити в окупації та переховуватись від росіян. © Денис Волоха/ХПГ Oleg Toporkov tuvo que vivir en ocupación escondiéndose de los rusos durante varios meses. © Denys Volokha/GDHK Oleg Toporkov a dû vivre sous l’occupation pendant plusieurs mois et se cacher des Russes. ©Denys Volokha/GDDhKh Oleh Toporkov è stato costretto a vivere qualche mese sotto occupazione, nascondendosi dai russi. © Denis Volokha /KhPG Олег Топорков был вынужден несколько месяцев жить в оккупации и скрываться от россиян. © Денис Волоха/ХПГ

Oleh Toporkov è stato costretto a vivere qualche mese sotto occupazione, nascondendosi dai russi. © Denis Volokha /KhPG

Le persone sequestrate sono tenute proprio nel reparto № 20, che contiene tanti locali isolati.

“La nostra impresa era ad accesso limitato, – spiega Oleh Toporkov. – Da tempi immemorabili abbiamo prodotto attrezzature militari. E per questo abbiamo tanti magazzini dove veniva conservata la produzione prima della spedizione al cliente. Questi spazi potevano essere sigillati. Poi arrivavano i militari e ritiravano l’ordine. Proprio lì è stato allestito il campo di concentramento. Sono locali solidi, isolati, con le mura in cemento armato. Alcuni magazzini sono senza finestre e hanno una porta di metallo, e quelli vengono usati come celle di detenzione. Gli uffici, invece, servono per gli interrogatori. Ci sono anche altri magazzini, che sono pure usati per la detenzione.”

Secondo Oleh Toporkov, un altro motivo per cui gli occupanti hanno scelto proprio il reparto № 20 è la sua vicinanza ad una palazzina amministrativa di sette piani che ripara il reparto da eventuali bombardamenti e attacchi d’artiglieria da Ovest.

La fabbrica era autonoma, con un proprio pozzo per l’acqua e un sistema di fognature indipendente. Tutto il territorio è circondato da un recinto con filo spinato e ci sono camere di video-sorveglianza.

Inoltre i residenti fanno notare che la fabbrica è situata in modo tale che, se le Forze Armate Ucraine decidessero di aprire fuoco sul “covo nemico”, sarebbe molto difficile per loro non colpire obiettivi civili. Nelle vicinanze c’è un parco, delle case private, un asilo nido che gli occupanti promettono di riaprire da un momento all’altro, nonostante sia pericoloso per i bambini.

Quanti prigionieri sono detenuti nella fabbrica?

“Le persone che sono riuscite ad uscirne, hanno raccontato che alcuni di loro erano in cella con altre dieci persone, in altre celle invece erano in trenta, – dice Oleh Toporkov. – Nessuno può fornire cifre precise. Si tratta di circa 100-150 persone, a seconda della situazione. Se capita un incidente o ci sono rappresaglie, portano tutti dentro e riempiono gli spazi al massimo. Per sapere quante persone ci possono stare, facciamo una stima: il reparto è di circa 150 metri per 50, potete ben immaginare quante persone si possono stipare là dentro, contando che in un locale di 4 metri per 5 ci possono stare anche trenta persone.

Secondo Oleh Toporkov, nella fabbrica si trovano tutte le tipologie di occupanti: gli arruolati delle cosiddette Repubbliche Popolari di Luhansk e Donetsk, la loro milizia popolare e i servizi di sicurezza; la guardia nazionale russa; gli ufficiali di carriera, – tutti gestiti dal Servizio Federale di Sicurezza (FSB). Sono principalmente gli agenti del FSB a condurre gli interrogatori, mentre agenti delle DNR e LNR si occupano di sorvegliare e scortare i prigionieri.

Possono portarti in fabbrica per qualsiasi motivo, non solo per una posizione filoucraina, ma anche per la delazione di un vicino.

“Proprio come nel 1937!” – dice Tetiana.

Sembra che alcune persone le sequestrino semplicemente per rapinarle.

Abbiamo la testimonianza di un uomo che nella fabbrica è stato torturato con scariche elettriche a scopo di estorsione. È stato liberato dopo aver consegnato agli occupanti i suoi risparmi. D’altra parte, non tutti fanno ritorno dopo una “chiacchierata” di molte ore o molti giorni.

“C’è chi era detenuto nella fabbrica e poi è stato trasferito in Russia, – dice Oleh Toporkov. – Non sono mai tornati a casa. Io ne conosco almeno una decina.” Alcuni sono elencati nelle liste per gli scambi dei prigionieri. Ma ci sono anche casi di persone che si pensava fossero state fucilate e invece dopo due mesi sono riusciti a contattare i parenti da Belgorod, in Russia.

Come ritrovare una persona cara?

Il 13 aprile a Aliona Tsyhankova hanno portato via il padre e altri due parenti, lo stesso è capitato al marito di Marharyta Stalnova. Il fatto è accaduto nelle case di villeggiatura della cooperativa “Il simbolo” nel distretto di Chuhuiev. Le donne non sanno perché li hanno rapiti. Forse perché gli uomini portavano aiuti umanitari, forse perché il padre di Aliona, Igor, aveva un generatore e i vicini gli portavano i cellulari per caricarli. Alcuni dei sequestrati erano dei bravi meccanici, e forse sono stati portati via per riparare le macchine degli occupanti. O forse gli occupanti volevano soltanto rubare delle auto (e lo hanno fatto).

Comunque sia, a detta dei vicini, il 13 sono arrivati i militari, hanno messo dei sacchi sulla testa degli uomini e li hanno portato via non si sa dove.

“Hanno messo tutta la casa sotto sopra. Hanno persino fatto un taglio nel rivestimento del soffitto. Hanno portato via ogni elettrodomestico, il forno, la bombola del gas e hanno rubato le macchine. Mio padre aveva una Ford Granada bianca, e poi c’era una Renault Kangoo e un bus rosso” – racconta Aliona Tsyhankova.

“Secondo la testimonianza dei vicini, nella macchina di papà non c’era carburante, e loro l’hanno trascinata fino al loro posto di blocco, l’hanno minata e abbandonata lì. Dopo un po’ è arrivato un pezzo grosso e ha detto che bisogna sminarla e portarla a Shestakovo.

Альона Циганкова. Ⓒ Денис Волоха/ХПГ Alyona Tsygankova. Ⓒ Denys Volokha/ GDHK Aliona Tsygankova. Ⓒ Denys Volokha/GDDhKh Aliona Tsyhankova. Ⓒ Denis Volokha /KhPG Алёна Цыганкова. Ⓒ Денис Волоха/ХПГ

Aliona Tsyhankova. Ⓒ Denis Volokha /KhPG

All’inizio dicevano ai familiari che presto avrebbero rilasciato tutti gli arrestati. Poi hanno comunicato che li hanno portati nelle lontane retrovie “per motivi di sicurezza”.

Aliona e Marharyta possono soltanto fare l’ipotesi che con “lontane retrovie” si intenda in realtà Vovchansk. Non ci sono informazioni più o meno affidabili, tanto meno ufficiali.

“Abbiamo saputo qualcosa tramite lontani conoscenti – dice Marharyta Stalnova. – A Vovchansk un uomo è stato detenuto per una settimana. Gli occupanti hanno trovato nel suo telefono un contatto che non gli è piaciuto. La moglie dell’uomo andava ogni giorno con il bambino a chiedere di liberarlo… e l’hanno liberato! Quando gli hanno fatto vedere le foto dei nostri arrestati, ha detto di aver visto laggiù qualcuno che ci assomigliava. Ma ci si può credere? Un uomo in quello stato… chissà che cosa gli hanno fatto…”

Nelle chat su Telegram da Vovchansk dicono che, per scoprire se uno è detenuto nella fabbrica, bisogna avvicinarsi all’entrata e dire il cognome della persona scomparsa.

“Esce un militare con una lista. Ditegli il nome e la data di nascita. Lui controlla nella lista e dice se il tale è presente o meno. Avverte che non ci saranno visite o consegne. Non dice quanto tempo durerà ancora la detenzione”, – così descrive la procedura una delle partecipanti della chat.

Purtroppo, né Marharyta né Aliona possono tornare a Vovchansk occupata. Un’alternativa è chiedere a qualche abitante del luogo di recarsi all’entrata della fabbrica. Ma è un rischio che nessuno vuole correre, visto che ci sono già stati casi di persone che cercavano di scoprire il destino degli scomparsi e sono state portate dentro.

“Ho trovato uno che conosco, e lui ha chiesto a una ragazza di Vovchansk di cercare notizie su mio marito – racconta Marharyta. – Dicono che per le ragazze sia più facile. Lui non mi ha garantito nulla, tanto più che c’erano problemi di collegamento. Ma abbiamo saputo che l’hanno visto, è vivo, sta riparando delle attrezzature”.

Purtroppo, è un’informazione ufficiosa. Le due donne si sono rivolte anche alla polizia, al Servizio di Sicurezza Ucraino, all’Ufficio nazionale di ricerca e alla Croce rossa. Sono ancora in attesa.

Tutto si ripete

Gli occupanti non hanno inventato nulla di nuovo, quando hanno allestito un centro di tortura di questo tipo nel bel mezzo della città. Non mi riferisco qui all’“Isolamento” di Donetsk. I russi hanno una ricca esperienza nell’allestimento di luoghi di detenzione illegali nei territori occupati: chissà, forse seguono un manuale?

Circa vent’anni fa attivisti di “Memorial” descrivevano così il sistema penitenziario ufficioso, creato dai russi nel Caucaso durante la seconda guerra cecena: “Dietro la facciata del sistema ufficiale dei luoghi di detenzione, interrogatorio e indagine, agisce un sistema ufficioso di penitenziari illegali, all’interno delle zone militari. Il centro di questo sistema si trova a Khankala, presso il quartier generale delle forze federali. In questo sistema parallelo, per le persone arrestate o ‘scomparse’ le ‘conseguenze’ sono torture pesanti, che portano rapidamente alla morte; si compiono esecuzioni extragiudiziarie. Se durante la “prima guerra cecena” tali pratiche criminali venivano applicate dall’intelligence militare e dai reparti speciali, durante la seconda guerra cecena questa prassi è stata ripresa e attivamente applicata dalle forze dell’ordine (Ministero degli interni ecc.)”.

I difensori dei diritti umani raccontavano allora di vari tipi di luoghi di detenzione non ufficiale: semplici buche scavate in mezzo ai campi (i cosiddetti “zindan”), edifici abbandonati e “punti di filtrazione temporanea”, di cui sentiamo parlare così tanto oggi.

L’“invito” a un colloquio non ufficiale, non registrato da nessuna parte, dopo il quale si può estorcere a furia di botte qualsiasi confessione, ha delle radici profonde nella struttura delle forze dell’ordine già dall’epoca sovietica. A metà degli anni 2000, Oleksandr Cherkasov descriveva così le prigioni segrete in Cecenia: “Il sogno di ogni agente operativo russo è poter interagire con la persona arrestata ‘fuori processo’, lontano dalla presenza di un avvocato e senza la protezione del codice di procedura penale. La persona viene ‘invitata’ o ‘consegnata’, poi si fa una ‘chiacchierata’… finché non si ‘ottiene’ la confessione. Il massimo dei sogni è poter ‘far sparire’ la persona o almeno trattenerla a lungo”.

Sono passati vent’anni, ma sappiamo che poco è cambiato dai nostri vicini. Anche il capobranco è ancora lo stesso.

Gli occupanti sono stati fortunati a Vovchansk: per i cittadini scomparsi dopo una bella “chiacchierata” non hanno dovuto cercare edifici abbandonati o scavare delle apposite buche, come in Cecenia. Hanno trovato un sito perfetto proprio in centro.


Secondo la Convenzione di Ginevra, nei confronti dei civili sono vietati:

  • violenze alla persona e alla vita, inclusi tutti i tipi di omicidio, lesioni aggravate, trattamento disumano o tortura;
  •  sequestro degli ostaggi;
  • violazione della dignità umana, in particolare trattamento offensivo e umiliante;
  • condanna e applicazione delle pene senza previa sentenza giudiziaria, emessa da un tribunale debitamente formato che rappresenti una garanzia giudiziaria riconosciuta dai popoli civili come indispensabile.

Ma la Russia è lontana anni luce dalla Convenzione di Ginevra.

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