È tempo di assumersi la responsabilità. Il messaggio del Centro per le Libertà Civili

Il discorso pronunciato da Oleksandra Matvijčuk, Direttrice del Centro per le Libertà Civili, in occasione della cerimonia di conferimento del Premio Nobel per la Pace a Oslo.
01 Febbraio 2023UA DE EN ES FR IT RU

Голова Центру громадянських свобод Олександра Матвійчук © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Oleksandra Matvijtschuk, Leiterin des Zentrums für bürgerliche Freiheiten © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Oleksandra Matviichuk, head of the Centre for Civil Liberties © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Oleksandra Matviychuk, Directora del Centro para las Libertades Civiles © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Oleksandra Matviïtchouk, présidente du Centre pour les libertés civiles © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Oleksandra Matvijčuk, Direttrice del Centro per le Libertà Civili © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK Глава Центра гражданских свобод Александра Матвийчук © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK

Oleksandra Matvijčuk, Direttrice del Centro per le Libertà Civili © Nobel Prize Outreach AB, Production: NRK

Maestà, Altezze Reali, illustri membri del Comitato Norvegese per il Premio Nobel, cittadini dell’Ucraina e cittadini del mondo.

Quest’anno l’Ucraina intera ha atteso l’annuncio del Premio Nobel per la Pace. Lo consideriamo un riconoscimento degli sforzi di tutto il popolo ucraino, che ha coraggiosamente tenuto testa ai tentativi di distruggere lo sviluppo pacifico dell’Europa, nonché una sottolineatura dell’importanza del lavoro dei difensori dei diritti umani nel prevenire le minacce della guerra in tutto il mondo. Siamo orgogliosi che oggi, per la prima volta, la lingua ucraina risuoni in questa cerimonia ufficiale.

Riceviamo il Premio Nobel per la Pace durante la guerra che ha scatenato la Russia. Questa guerra dura già da 9 mesi e 21 giorni. Per milioni di persone parole come ‘spari’, ‘torture’, ‘deportazioni’, ‘campi di filtraggio’ sono diventate usuali. Ma non ci sono parole che possano rendere il dolore di una madre che ha perso il figlio neonato dopo il bombardamento del reparto maternità dell’ospedale. Un momento prima stringeva a sé il suo bambino, lo chiamava per nome, lo nutriva al seno, annusava il suo profumo — ed ecco che un razzo russo ha distrutto tutto il suo mondo. E ora il bambino che aveva sognato e desiderato così tanto giace nella bara più piccola del mondo.

Non ci sono risposte già pronte per le sfide che noi e il mondo intero stiamo affrontando. La gente in diversi paesi lotta per i propri diritti e le proprie libertà in condizioni estremamente difficili. Per questo oggi proverò almeno a porre le domande giuste per cominciare a cercare queste risposte.

Prima domanda. Come restituire importanza ai diritti umani?

Le generazioni che hanno vissuto la Seconda guerra mondiale sono state sostituite da altre. La gente ha iniziato a percepire i diritti e le libertà come un dato acquisito. Anche nelle democrazie sviluppate stanno crescendo forze che mettono in discussione i principi della Dichiarazione universale dei diritti umani. Ma i diritti umani non si conquistano una volta per tutte. I valori della civiltà contemporanea vanno difesi.

La pace, il progresso e i diritti umani sono indissolubilmente legati. Uno stato che uccide i giornalisti, imprigiona gli attivisti e disperde le manifestazioni pacifiche costituisce una minaccia non solo per i propri cittadini. Un tale Stato costituisce una minaccia per tutta la regione e per la pace mondiale in genere. Pertanto, il mondo deve reagire alle violazioni sistematiche. Nell’orientare le scelte politiche i diritti umani devono essere un fattore non meno rilevante del vantaggio economico o della sicurezza. È necessario applicare questo approccio anche nella politica estera.

Lo si vede bene nel caso della Russia che ha sistematicamente annientato la propria società civile. Ma i paesi del mondo democratico per molto tempo hanno finto di non vedere. Hanno continuato a stringere la mano ai governanti russi, a costruire gasdotti e a condurre il business as usual. Per decenni le truppe russe hanno commesso crimini in vari paesi. Ma sono sempre rimaste impunite. Il mondo non ha reagito adeguatamente neanche all’aggressione e all’annessione della Crimea, che ha rappresentato un precedente nell’Europa del dopoguerra. La Russia ha creduto di poter fare tutto ciò che voleva.

Ora la Russia cerca di piegare la resistenza e di occupare l’Ucraina colpendo intenzionalmente la popolazione civile. Le truppe russe deliberatamente distruggono abitazioni, chiese, scuole, ospedali, sparano sui corridoi per l’evacuazione, imprigionano la gente nei campi di filtraggio, deportano forzosamente la popolazione, saccheggiano, torturano e uccidono nei territori occupati.

Il popolo russo sarà responsabile per questa ignominiosa pagina della sua storia e per la volontà di ricostruire con la forza l’impero del passato.

Seconda domanda. Come iniziare a chiamare le cose coi loro nomi?

La gente in Ucraina vuole la pace come nessun altro. Ma la pace non arriva quando il paese che è stato aggredito depone le armi. Quella non è pace, è occupazione. Noi abbiamo trovato i corpi dei civili sulle strade e nei cortili delle loro abitazioni dopo la liberazione di Buča. Queste persone non avevano armi.

Bisogna smettere di mascherare le minacce militari rinviate con la denominazione ‘compromessi politici’. Il mondo democratico si è abituato a fare concessioni alle dittature. E per questo è così importante la disponibilità del popolo ucraino a contrastare l’imperialismo russo. Non abbandoneremo la gente nei territori occupati alla morte e alle torture. La vita delle persone non può essere un “compromesso politico”. Lottare per la pace non significa arrendersi ai colpi dell’aggressore, ma difendere la gente dalla sua ferocia.

In questa guerra noi stiamo combattendo per la libertà in tutte le sue accezioni. E stiamo pagando per questo il prezzo più alto. Noi, cittadini dell’Ucraina di ogni nazionalità, non siamo costretti a discutere il nostro diritto a un paese sovrano e indipendente e allo sviluppo della lingua e della cultura ucraine. In quanto esseri umani, non dobbiamo essere costretti a concordare il diritto a definire la nostra identità e a compiere autonomamente la nostra scelta democratica. I tatari di Crimea e le altre nazionalità autoctone non devono avere bisogno di provare il loro diritto a vivere liberamente nella loro terra avita, la Crimea.

Da come noi lottiamo oggi dipenderà come sarà l’Ucraina in futuro. Affinché nel paese che uscirà dalla guerra noi possiamo fondare non fragili costruzioni, ma solidi istituti democratici. I valori sono ciò che determina il nostro comportamento non quando è facile, ma quando è difficile. Non dobbiamo diventare lo specchio dello stato aggressore.

Questa non è una guerra fra due Stati, ma fra due sistemi: l’autoritarismo e la democrazia. Noi stiamo lottando per avere la possibilità di costruire uno Stato in cui i diritti di ogni individuo siano difesi, gli organi di potere siano obbligati a rendere conto ai cittadini, i tribunali siano indipendenti e la polizia non disperda con la forza le manifestazioni studentesche pacifiche nella piazza centrale della capitale.

Dobbiamo superare il trauma della guerra e i rischi ad esso connessi camminando verso la famiglia europea e dobbiamo consolidare la scelta che il popolo ucraino ha fatto con la Rivoluzione della Dignità.

Terza domanda. Come garantire la pace a tutta l’umanità?

Il sistema internazionale per la pace e la sicurezza non funziona più. Server Mustafajev, tataro di Crimea, prigioniero di coscienza, e molti altri sono detenuti nelle carceri russe per la loro attività in difesa dei diritti umani. Noi attivisti per i diritti umani, che per molti anni abbiamo fatto ricorso alla legge per difendere le persone, non abbiamo alcun meccanismo giuridico per fermare le atrocità russe. Per questo molti attivisti per i diritti umani sono stati costretti a difendere ciò in cui credono con le armi in pugno. Come il mio amico Maksym Butkevyč, che ora è prigioniero dei russi. Lui e tutti gli altri prigionieri di guerra ucraini e tutti i civili detenuti devono essere liberati.

Il sistema dell’ONU, creato dopo la Seconda guerra mondiale dai vincitori, presuppone un’ingiustificata indulgenza per alcuni paesi. Se non vogliamo vivere in un mondo in cui le regole sono dettate dai paesi col potenziale militare più grande, bisogna cambiare questa situazione.

Dobbiamo avviare una riforma del sistema internazionale per difendere la gente dalle guerre e dai regimi autoritari. Servono efficaci garanzie di sicurezza e rispetto dei diritti umani per tutti gli Stati e i loro cittadini, a prescindere dalla loro appartenenza a blocchi militari, dal potenziale militare o dalla potenza economica. I diritti umani devono occupare il posto centrale in questo nuovo sistema.

E questo è un compito che spetta non solo ai politici. I politici sono tentati di evitare la ricerca di strategie complesse che esigono un lungo periodo di tempo. Spesso si comportano come se le sfide globali potessero scomparire automaticamente da un giorno all'altro. Ma la verità è che queste non fanno che aggravarsi. Noi, persone che vogliamo vivere in pace, dobbiamo dire ai politici che abbiamo bisogno di un’altra architettura dell’ordine mondiale.

Forse non abbiamo strumenti politici, ma ci rimangono sempre le nostre parole e la nostra posizione. Le persone comuni hanno molta più influenza di quanto pensino. La voce di milioni di persone in diversi paesi può cambiare la storia mondiale più rapidamente di un intervento dell’ONU.

Quarta domanda. Come garantire la giustizia a tutte le vittime della guerra?

I dittatori temono l’affermarsi dell’idea di libertà. Per questo la Russia cerca di convincere tutto il mondo che la supremazia del diritto, i diritti umani e la democrazia siano valori falsi. Perché durante la guerra non proteggono nessuno.

Sì, il diritto ora non sta funzionando. Ma noi crediamo che sia così solo provvisoriamente. Dobbiamo spezzare questo circolo vizioso d’impunità e cambiare i nostri approcci al giudizio dei crimini di guerra. Una pace stabile, che liberi dalla paura e faccia percepire prospettive future, è impossibile senza giustizia.

Ancora oggi guardiamo al mondo attraverso il prisma del tribunale di Norimberga, in cui i criminali sono stati condannati solo quando il regime nazista è caduto. Ma la giustizia non deve dipendere dalla resistenza dei regimi autoritari. Del resto, viviamo in un nuovo secolo. La giustizia non deve aspettare.

Dobbiamo colmare la lacuna di responsabilità e dare la possibilità di ottenere giustizia a tutte le vittime. Quando il sistema nazionale è sovraccarico per la quantità di crimini di guerra. Quando il Tribunale criminale internazionale si limita a pochi casi scelti o non ha alcuna giurisdizione.

La guerra trasforma le persone in numeri. Dobbiamo restituire i nomi a tutte le vittime di crimini di guerra. A prescindere da chi sono, dal loro status sociale, dal tipo di crimine e crudeltà che hanno subito e dal fatto che la loro causa interessi o no ai mass media e alla società. Perché la vita di ogni singolo individuo è importante.

Il diritto è una materia viva, che si sviluppa continuamente. Dobbiamo creare un tribunale internazionale e mettere di fronte alle loro responsabilità Putin, Lukašėnka e gli altri criminali di guerra. Sì, è una mossa ardita. Ma dobbiamo far sapere che la supremazia del diritto funziona e la giustizia esiste, anche se questi processi agiscono con ritardo.

Quinta domanda. In che modo la solidarietà globale può diventare la nostra passione?

Il nostro mondo è diventato molto veloce, complicato e interconnesso. Proprio adesso in Iran c’è gente che lotta per la propria libertà. In Cina la gente si oppone alla dittatura digitale. In Somalia altri restituiscono a una vita pacifica i bambini-soldato. Queste persone come nessun altro sentono cosa significa essere umani e difendere la dignità umana. Dal loro successo dipende il nostro futuro. Siamo responsabili di tutto ciò che accade al mondo.

I diritti umani riguardano il modo di pensare, un certo paradigma con cui percepiamo il mondo, che determina il modo in cui l’essere umano pensa e agisce. Perdono di significato se la loro difesa è affidata solo ai giuristi e ai diplomatici. Pertanto, non basta approvare leggi giuste e creare istituzioni formalizzate. I valori della società saranno ugualmente più forti.

Ciò significa che abbiamo bisogno di un nuovo movimento umanistico che lavori con la società al livello dei significati, che si occupi di istruzione, che formi un sostegno di massa e coinvolga la gente nella difesa dei diritti e delle libertà. Questo movimento deve unire gli intellettuali e le società civili di diversi paesi, perché le idee di libertà e diritti umani sono universali e non conoscono frontiere tra Stati.

Così potremo fare in modo che ci sia una richiesta di decisioni e superare insieme le sfide globali — le guerre, la disuguaglianza, la violazione della privacy, il rafforzamento dell’autoritarismo, il cambiamento climatico ecc. Così potremo rendere questo mondo più sicuro.

Vogliamo che i nostri figli non siano costretti a sperimentare le guerre e le sofferenze. Dobbiamo assumerci la responsabilità, per non far ricadere sulle loro spalle ciò che dobbiamo fare noi, i loro genitori. L’umanità ha la possibilità di affrontare le crisi globali e di pervenire a una nuova concezione del mondo.

È tempo di assumersi la responsabilità. Non sappiamo quanto tempo ci resta.

E dato che questo è un Premio Nobel per la Pace in tempo di guerra, mi permetto di rivolgere alla gente di diversi paesi del mondo un’esortazione alla solidarietà. Non c’è bisogno di essere ucraini per sostenere l’Ucraina. Basta essere umani.

© The Nobel Foundation 2022.

Tradotto da Viviana Nosilia, Memorial Italia.

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