Lo scopo non è «imprigionare tutti», ma «imprigionare pochi, per controllarli tutti»

Aleksandr Čerkasov, membro del Centro per la difesa dei diritti umani di Memorial, и intervenuto nel dibattito sul rispetto dei diritti umani in Russia. L’iniziativa prende spunto dall’analisi dei casi che hanno colpito la comunitа scientifica. Stato organizzato dal Comitato Azat Miftachov e dal Centro per la difesa dei diritti umani di Memorial.
Aleksandr Čerkasov30 Agosto 2022UA DE EN ES FR IT RU

Олександр Черкасов. Фото: Радіо Свобода Aleksandr Cherkasov. Photo: Radio Liberty Alexandre Tcherkasov. Photo: Radio Liberty Aleksandr Čerkasov. Foto: Radio Liberty Александр Черкасов. Фото: Радио Свобода

Aleksandr Čerkasov. Foto: Radio Liberty

Non mi soffermerò sul caso di Azat Miftachov, anche se è su di lui che è incentrato questo intervento. D'altra parte, dopo il 24 febbraio, dopo che la Russia ha scatenato una guerra in Ucraina, non si riesce proprio a parlare d'altro. Se sono troppo perentorio, almeno lasciatemi dire che è quasi impossibile, oggi, lasciare da parte la guerra in Ucraina. Ma è anche vero che parlando di quello che sta succedendo, delle decine di migliaia di morti, dei milioni di profughi, dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità, non bisogna tralasciare di analizzarne le ragioni.

Dobbiamo riflettere sulle premesse che hanno reso possibile questa guerra impensabile. Le premesse sono i prigionieri politici e la repressione politica in Russia. Uno Stato che, al suo interno, viola platealmente e in modo sistematico i diritti umani, diventa per forza di cose una minaccia anche per la pace e per la sicurezza internazionali. Lo potremmo definire un teorema, che l'esperienza della Seconda guerra mondiale ha dimostrato senza ombra di dubbio. Proprio a partire da questa esperienza, è stato creato un sistema di cooperazione internazionale che avrebbe dovuto impedire la ripetizione dei fatti del 1939. Prevenire, però, è stato impossibile: di nuovo è scoppiata la guerra nel cuore dell'Europa.

Una domanda sorge spontanea: perché in Russia non è mai stata avviata la procedura di impeachment, perché i leader dell'opposizione non intervengono in Parlamento o sui media nazionali per manifestare la propria opposizione alla guerra? Il fatto è che qui il sistema parlamentare e il sistema dei partiti sono stati già smantellati da tempo. Dei partiti rimangono giusto le sigle. I media sono controllati dallo Stato e sono stati trasformati in mezzi di propaganda. Qualcosa non ha funzionato. Il come e il perché l'opposizione non abbia avuto il potere o la forza di fermare il processo di trasformazione della Russia in un aggressore, in un «malato dell'Europa», è un tema dolente e che meriterebbe una trattazione a sé. In questi mesi osservatori stranieri ci pongono di continuo la domanda: perché non ci sono manifestazioni di massa contro la guerra? Da dove deriva un controllo statale così efficace sulla società? Si può rispondere che certamente le repressioni politiche, gli arresti e le condanne penali per le attività di protesta pacifiche giocano un ruolo importante. Ma è prima di tutto il contesto a rendere queste repressioni così efficaci.

In primo luogo, la politica del terrore. È vero, in Russia non c'è più la pena di morte, ma vi farò qualche nome. Anna Politkovskaja, giornalista della «Novaja Gazeta»; Stanislav Markelov, avvocato e attivista di sinistra; Natal'ja Èstemirova, giornalista di Memorial: sono tutte persone che si sono battute contro la politica delle sparizioni forzate nelle zone dei conflitti armati nel Caucaso e in Cecenia e sono state uccise. È stato ammazzato anche Boris Nemcov, rappresentante di un partito di opposizione, che nel 2014 era diventato uno dei leader del movimento contro la guerra. Hanno cercato di attribuire queste morti ai gruppuscoli o agli indipendentisti ceceni. Il tentativo di avvelenare Aleksej Naval'nyj, un altro leader dell'opposizione, ha fatto finalmente venire a galla il sistema di omicidi politici per mezzo del veleno, eseguiti da agenti dei servizi segreti russi. Naval'nyj è sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento, ha portato avanti indagini su questi crimini e ora è in prigione. Adesso forse vi domanderete perché vado fuori tema, parlo di omicidi politici... ma chiarire questo argomento spiega parecchie altre cose; un po' come capita in matematica, dove capire il comportamento del punto di una funzione può far intuire il comportamento di altri punti della stessa funzione. È un episodio, quello di Naval'nyj, che ha lasciato una cicatrice nel tessuto sociale. In modo analogo a ciò che è accaduto in Cecenia, dove le sparizioni forzate delle persone hanno lasciato una pesante traccia. Circa cinquantanni fa Valentin Turcin, studioso e dissidente sovietico, definì «inerzia del terrore» lo stato d'animo della società sovietica del periodo poststaliniano. Parlando ora, ad esempio, di Cecenia, dello strapotere di Ramzan Kadyrov e dei suoi seguaci, è necessario ricordare le migliaia e migliaia di scomparsi, la cui morte ha rappresentato la base della cosiddetta attuale «stabilità» e governabilità in Cecenia.

In Russia tutti coloro che si oppongono apertamente al governo vengono arrestati. Vladimir KaraMurza è un altro rappresentante dell'opposizione che è sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento per mano dei servizi segreti russi. Per anni si è battuto per sollevare la questione dei prigionieri politici russi nel mondo. Ora è stato arrestato per aver parlato della guerra in Ucraina. È intervenuto a un convegno nell'America profonda, in Arizona, e ora è detenuto in una prigione russa. Il 7 luglio 2022 a Mosca si è tenuta un'udienza in tribunale sul caso di Aleksej Gorinov, consigliere comunale di Mosca, in seguito alla quale Gorinov è stato condannato a sette anni di carcere: è la prima condanna a lungo termine sulla base della nuova «legge bavaglio». Durante un consiglio comunale Gorinov ha parlato della guerra, delle sue vittime, dei bambini assassinati, e per questo è stato arrestato. Per incriminarlo hanno utilizzato il nuovo articolo del codice penale sulle «notizie diffamatorie riguardanti le forze armate». La logica è questa: qualsiasi affermazione che non corrisponda alle dichiarazioni ufficiali dei funzionari del ministero della Difesa è dichiarata diffamatoria. E la pena può arrivare fino a dieci anni di carcere. Un esempio è il caso di Il'ja Jasin, un altro consigliere di Mosca, che ha sempre espresso chiaramente la sua opposizione alla guerra. Ora è stato arrestato con l'incriminazione di peculato amministrativo. Trattengono una persona per un reato amministrativo e preparano, contestualmente, le imputazioni per il procedimento penale di «diffamazione delle forze armate che comporta fino a 10 anni di detenzione».

E qui vorrei attirare la vostra attenzione su un secondo punto, estremamente importante: la correlazione e l'interconnessione fra le imputazioni amministrative e quelle penali nella Russia odierna. È un rapporto, una struttura paragonabile a quella che esisteva in Russia tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Ottanta. Nell'epoca poststaliniana le autorità sovietiche hanno dovuto capire come controllare efficacemente la società (anche se si trovava in una situazione di «inerzia del terrore») senza ricorrere a repressioni di massa. A tal fine, nel 1959, fu introdotto un sistema di «profilassi» per il quale a ogni condanna per un reato «politico» corrispondeva l'incriminazione di un centinaio di persone giudicate colpevoli di reati non penali che ricevevano pene amministrative, informali, ma sottintendeva chiaramente la minaccia di rappresaglie penali in caso fosse continuata l'opposizione.

Il sistema repressivo costruito in questi mesi e in questi anni sottende una logica molto simile. Fino a qualche anno fa aver partecipato a una manifestazione comportava la violazione dell'articolo 20.2.5 del codice amministrativo e quindi una multa di diverse decine di migliaia di rubli. Per aver partecipato ripetutamente alle manifestazioni erano previsti fino a 300.000 rubli di multa o fino a 30 giorni di arresto, ai sensi dell'articolo 20.2.8 sempre del codice amministrativo. Se una persona è stata fermata tre volte in sei mesi subentra l'accusa penale, ai sensi dell'articolo 212.1, che può comportare fino a cinque anni di reclusione. Questo articolo del codice è anche chiamato «Dadin», dal nome di Il'dar Dadin, il primo a essere condannato sulla sua base.

All'inizio della guerra in Ucraina, il 4 marzo 2022, sono stati introdotti articoli ad hoc che perseguono il reato di «screditare l'esercito russo» (articolo 20.3.3 del codice amministrativo, multa fino a 50.000 rubli, o fino a 100.000 per istigazione a manifestazioni pubbliche; articolo 280.3 del codice penale, fino a cinque anni di reclusione). In poche parole, anche se non si usa la parola «profilassi», è lampante che chi continua a svolgere attività «sovversive» prima o poi incappa in un procedimento penale. Negli ultimi mesi parecchie migliaia di cittadini sono stati detenuti ai sensi di questi articoli amministrativi. Più di 2500 persone sono state perseguite per aver «screditato l'esercito». Non sono state condannate e non sono nemmeno incriminate ai sensi di articoli penali, ma già pende su di loro la minaccia di detenzione se manifestano ancora. Peraltro non serve nemmeno che la polizia li fermi. Viviamo nel XXI secolo, il progresso avanza, a Mosca è attivo un sistema di riconoscimento facciale che utilizza telecamere installate per strada e in metropolitana. L'anno scorso le registrazioni delle telecamere sono state utilizzate per istituire procedimenti amministrativi contro «manifestazioni e cortei». Recentemente, stando ai dati delle telecamere, la polizia ha fermato persone che non stavano andando a nessun raduno, ma semplicemente prendevano la metro per andare in centro. Metterò in luce un altro punto che i matematici troveranno particolarmente divertente. Nei casi di «responsabilità graduale», quando prima si apre un fascicolo amministrativo e poi uno penale, avviene che nella seconda fase, quella penale, le conclusioni delle cause amministrative (ovvero le argomentazioni più «deboli») sono utilizzate come prove a tutti gli effetti per la delibera penale. Nei processi amministrativi la difesa non ha questa possibilità che invece esiste per quelli penali. La figura del pubblico ministero coincide con quella del giudice, sono la stessa persona. Ma allo stesso tempo c'è un pregiudizio amministrativo!

Terzo per ordine, ma non meno importante: le condizioni di detenzione durante le indagini e dopo la condanna. In sintesi, parliamo di torture, maltrattamenti, punizioni crudeli e degradanti. E tutto questo accade in questi giorni, ora. Primo esempio: il consigliere di cui ho detto più sopra, Aleksej Gorinov, che Memorial considera un prigioniero politico, è stato rinchiuso in una cella per quattro persone con altri sette detenuti. Non riusciva nemmeno a dormire. Non ha ricevuto né le medicine né le cure di cui avrebbe avuto bisogno essendo malato.

Secondo esempio: il 30 giugno 2022 il fisico Dmitrij Kolker è stato arrestato dal Servizio federale per la sicurezza (FSB). Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di inserirlo nelle liste dei prigionieri politici. Aveva un cancro al quarto stadio, è stato portato via dall'ospedale e dopo tre giorni è morto in prigione.

Devo proprio ammettere che anche in tempi bui, come quando Jurij Andropov era a capo dell'Unione Sovietica, il Comitato per la sicurezza dello Stato dell'URSS non ha mai arrestato persone con gravi patologie oncologiche!

Nel 1983 fu smantellato il Fondo Solzenicyn per l'assistenza ai prigionieri politici e Andrej Kistjakovskij, direttore del Fondo, non fu arrestato in quanto malato terminale.

Posso proseguire il mio elenco. Un tempo tutti consideravano questi modi di agire inconcepibili. Ora no, non sono più inconcepibili. Anzi, ormai tutti sanno che anche un malato, addirittura terminale, può essere buttato in prigione.

Terzo esempio: da poco si è venuto a sapere in quali condizioni sconta la sua pena il prigioniero politico Aleksej Naval'nyj. È detenuto in regime di massima sicurezza e per lui è stata addirittura creata una «prigione dentro la prigione»: un recinto di sei metri per sei, totalmente isolato. Sono davvero condizioni insopportabili per una persona che soffre di mal di schiena, sia a lavoro che a riposo. È costretto ad ascoltare di continuo canzoni che celebrano i Servizi di sicurezza e a stare seduto sotto il ritratto di Putin. Forse sono condizioni migliori delle «condizioni speciali» di Naval'nyj nel campo precedente. Ma, vi faccio notare, si tratta di Naval'nyj, una persona su cui è puntata la massima attenzione. Con i prigionieri politici «ordinari» tutto è più semplice.

Il'dar Dadin, che ho citato prima, è stato torturato dagli impiegati del campo. Non è un'eccezione: la tortura nei luoghi di detenzione russi è diventata da tempo un sistema, non solo per i «politici», ma per tutti quelli che non si «piegano». Proprio come le torture durante gli interrogatori e le indagini che da tempo sono diventate sistematiche. Prima ho parlato anche del Fondo per l'assistenza ai prigionieri politici. Nel 1983 Sergej Chodorovic, il suo direttore, dopo l'arresto, fu torturato per sei mesi. E a torturarlo erano proprio i suoi compagni di cella, criminali che erano diventati collaboratori della polizia. Si chiamava la «stanza di pressione» ed esiste anche ora. Ma, a differenza che in epoca tardosovietica, la tortura «senza intermediari», inflitta dalle «persone in uniforme», è diventata da tempo sistematica. Questo ormai lo sanno tutti: in Russia vige la tortura. Lo sanno anche quelli che protestano contro la guerra in Ucraina.

In conclusione, posso affermare che la repressione politica e le condanne penali per attività non violente sono diventate il metodo più utilizzato di gestione della società, «l'ingegneria sociale» della Russia.

E questo metodo (ora più che mai) è un modo per sopprimere le proteste contro la guerra. Ci sono dozzine di casi penali come questi, ma tali repressioni colpiscono indirettamente quelle migliaia di persone che sono state condannate per reati amministrativi, sulla falsariga della profilassi sovietica. Senza una continua repressione penale questa «profilassi» è inefficace. E ci autorizza anche a conteggiare diversamente il numero di prigionieri politici nella Russia di oggi: cinquemila circa.

Tanti o pochi? In fin dei conti, se queste repressioni hanno uno scopo certamente non è quello di «imprigionare tutti», ma di «imprigionare pochi, per controllarli tutti». Parlando di «controllo», dobbiamo considerare i fattori sistemici come la tortura, i maltrattamenti nel corso delle indagini e della custodia cautelare; la pratica degli omicidi politici (che, in un certo senso, hanno sostituito la pena di morte in URSS). La «profilassi» è inefficace senza la repressione penale, il controllo della società è impossibile senza la repressione, la guerra è impossibile senza la repressione. E, fast ^at aot f^ast, sono oltre seimila al momento gli ucraini catturati e trattenuti con la forza. I prigionieri ucraini sono detenuti nelle stesse prigioni dei dissidenti russi, anche se in celle separate. Gli inquirenti che li interrogano sono gli stessi. Subiscono le stesse torture dei detenuti russi. La repressione è una condizione necessaria della guerra. La tortura e gli omicidi politici danno la misura dell'efficacia della repressione. Quindi, la lotta per la libertà dei prigionieri politici, la lotta contro la tortura e gli omicidi politici in Russia sono parte integrante della lotta per la pace.

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