In una fabbrica a Vovčans’k i russi “hanno torturato con la corrente perfino un sacerdote” — il vicedirettore della fabbrica

A raccontare la sua storia è Oleh Toporkov, vicedirettore di una fabbrica nella regione di Charkiv, requisita dai russi e adibita a luogo di detenzione per tutti i soggetti da loro considerati sgraditi.
Denys Volocha. Tradotto da Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti03 Marzo 2023UA DE EN ES FR IT RU

На підприємстві росіяни облаштували “справжню катівню”, бо вивозити всіх підозрілих людей до Росії було незручно, — говорить Олег Топорков, якого самого вивозили на допит до Бєлгорода. © Вовчанський агрегатний завод / YouTube “Die Russen richteten in dem Unternehmen eine ‘echte Folterkammer’ ein, weil es zu unbequem war, alle verdächtigen Personen nach Russland zu bringen.”, sagt Oleh Toporkov, der zum Verhör nach Belgorod gebracht wurde. © Aggregat-Werk Vovtschansk / YouTube The Russians staged a “real torture” at the plant because it was inconvenient to take all suspicious people to Russia,” says Oleh Toporkov, who was taken to Belgorod for interrogation. © Vovchansky Aggregate Plant / YouTube Los rusos crearon una verdadera “cámara de torturas” porque no les resultaba cómodo deportar a Rusia a todos los sospechosos, dice Oleg Toporkov, a quien llevaron a la ciudad rusa de Belgorod para interrogatorios. © Fábrica de maquinaria de Vovchansk / YouTube Les Russes ont installé une « véritable salle de torture » dans l’usine, car il n’était pas pratique d’emmener toutes les personnes suspectes en Russie », explique Oleg Toporkov, qui a été emmené à Belgorod pour y être interrogé. © Volchanskiy Aggregate Plant / YouTube “E siccome portare in Russia tutti i sospettati era complicato, hanno creato una ‘stanza delle torture’ dentro la fabbrica” dice Oleg Toporkov, che per gli interrogatori è stato portato a Belgorod. © Vovchansky Aggregate Plant / YouTube На предприятии россияне устроили “настоящую пыточную”, потому что вывозить в Россию всех подозрительных людей было неудобно, — говорит Олег Топорков, которого вывозили на допрос в Белгород. © Волчанський агрегатный завод / YouTube

“E siccome portare in Russia tutti i sospettati era complicato, hanno creato una ‘stanza delle torture’ dentro la fabbrica” dice Oleg Toporkov, che per gli interrogatori è stato portato a Belgorod. © Vovchansky Aggregate Plant / YouTube

A Vovčans’k, a nord-est di Charkiv, una fabbrica di macchinari è finita al centro dell’attenzione dopo che alcuni funzionari ucraini hanno sostenuto che i russi ne avrebbero fatto un lager. Abbiamo parlato con Oleh Toporkov, il vicedirettore, che fa politica a livello locale e che per diversi mesi ha vissuto nella città occupata nascondendosi dai russi.


Cos’è successo nella fabbrica di Vovčans’k?

Dopo aver stabilito una propria base, [i russi] sono passati ai fatti. Hanno cominciato a cercare con maggiore attenzione i patrioti filoucraini, quelli che sostengono l’Ucraina al 100%. Erano molti, e gli spazi che avevano [sequestrato] in un primo momento, tipo quelli del comando distrettuale [della polizia], non bastavano più. Portarli oltre il confine era un bel rischio, e anche una spesa notevole, a quanto ne so. E cosa c’era di meglio della fabbrica? Con un sacco di spazio, e con delle parti isolate che sono diventate le prigioni. Altri locali sono stati usati per gli interrogatori.

Accanto alla fabbrica c’è un ponte: hanno piazzato lì il posto di blocco per il filtraggio. Se qualcuno non gli andava a genio, lo prendevano e lo portavano dentro per interrogarlo, indipendentemente dall’età o dal sesso. Non c’era nemmeno bisogno di un motivo, a volte. “Non mi piaci” e via, dentro.

Alcuni restavano solo in cella, altri venivano portati ogni giorno, sistematicamente, nella stanza degli interrogatori, e lì li torturavano per avere le informazioni. Chiedevano di dov’erano, se avevano parenti tra i militari, i politici locali o le truppe ATO [ATO — Antyterorystyčna operacija na schodi Ukrajiny, cioè Operazione antiterroristica nell’est dell’Ucraina; gli ucraini e alcuni enti stranieri definiscono “Zona ATO” il territorio ucraino delle regioni di Donec’k e Luhans’k sotto il controllo militare russo].

È a tutti gli effetti un campo di concentramento. Con tutte le conseguenze del caso. Da quel che mi dicono, c’è chi ci è rimasto un giorno solo, chi per diversi giorni e chi non ne è uscito. Li tengono lì dai primi giorni. E se sappiamo qualcosa è, a spizzichi e bocconi, da chi è uscito o ne ha avuto notizia da altre persone o parenti.

Chi sono quelli che non liberano?

Dipende. Prima di tutto, sicuramente i soldati ATO, i più nazionalisti; poi ex membri delle forze dell’ordine, politici e funzionari del governo locale, gli insegnanti. Per darle un’idea delle loro liste, hanno preso anche un sacerdote e lo hanno torturato per tre giorni con l’elettricità.

E poi ragazze, ragazzi, donne, uomini… Chiunque. Di qualunque ceto, senza fare nessuna distinzione. È tabù tutto ciò che è ucraino. E basta. Affermazioni, azioni pratiche, partecipazione a qualcosa. Fermano qualcuno per strada e gli trovano una foto nel cellulare. Oppure vedono che ha condiviso qualche notizia. Basta quello.

Non abbiamo prove certe di eventuali morti. Ma ci sono persone di cui non si sa nulla da un bel po’. Si sa che li hanno presi, ma non si sa che fine hanno fatto. Non vengono fornite informazioni e non c’è nessuno con cui reclamare. La legge non esiste, lì dentro. Esiste il caos più assoluto. Nemmeno l’etica militare esiste, lì dentro, lo capisce? Perché non sono esseri umani, quelli. Non sono umani. Si sperava che mostrassero un barlume di umanità almeno con certe categorie, che rispondessero o mostrassero un po’ di pietà con le donne che cercavano i mariti o i figli. Invece no. Non c’è pietà, lì dentro. Anzi, magari le donne che vanno a chiedere informazioni sui mariti rischiano di restarci anche loro.

È corsa voce che la fabbrica fosse stata trasferita in Russia. È vero o no?

Guardi, personalmente, da membro della direzione della fabbrica, il suo stato e la sua integrità sono importantissimi per me. Per quanto mi è dato saperne, ci stavano pensando. Anche noi sapevamo bene che qualcuno poteva facilmente portarsi via le strutture e gli impianti.

Олег Топорков був змушений кілька місяців жити в окупації та переховуватись від росіян. © Денис Волоха / ХПГ Oleh Toporov © Denys Volocha / KHPG Oleh Toporkov was forced to live under occupation for several months and hide from the Russians. © Denys Volokha / KHPG Oleg Toporkov se vio obligado a vivir en ocupación y a esconderse de los rusos durante unos meses. © Denys Volokha / Grupo de derechos humanos de Jàrkiv Oleg Toporkov a été contraint de vivre sous occupation et de se cacher des Russes pendant plusieurs mois. Denis Volokha / KHPG Oleh Toporkov ha passato diversi mesi nella città occupata nascondendosi dai russi. Foto: Denis Volocha CHPG Олег Топорков был вынужден несколько месяцев жить в оккупации и прятаться от россиян. © Денис Волоха / ХПГ

Oleh Toporkov ha passato diversi mesi nella città occupata nascondendosi dai russi. Foto: Denis Volocha CHPG

Il 7 aprile è saltata la corrente. Ed è mancata a lungo. E senza elettricità è un problema anche smontarli, gli impianti delle varie officine. Per smontare attrezzature e macchine utensili servono le gru a ponte che scorrono sui soffitti. Non si può prendere e smontare le macchine, così. Si rischia di far crollare l’edificio e di danneggiare i macchinari. Per questo era ancora tutto lì.

Potrebbe anche essere che alcuni materiali di primaria importanza siano stati portati via, ma un trasferimento deliberato degli impianti non c’è stato. Insomma, al momento attuale la fabbrica è integra al 99%. Al momento attuale. L’hanno bombardata più volte [sorride — N.d.R.]. Sono saltate giusto le finestre. Ma non ci sono danni rilevanti. Grazie a Dio è intatta.


Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

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