‘Non si può negoziare con i russi, né credere loro. . . ’ — un residente di Mariupol

Vitalii Bandruškiv vive nella martoriata Mariupol; è stato costretto a rifugiarsi a Drohobyč con la moglie e il figlio. Ora il nostro interlocutore è già andato a combattere gli invasori.
Leonid Golberg05 Novembre 2023UA DE EN ES IT RU

Vitaly, racconti, di cosa si occupava in tempo di pace?

Di professione sono un ingegnere progettista, ma per quasi tutto il tempo ho lavorato come insegnante presso l’Università tecnica statale di Azov.

Quando ha avuto a che fare per la prima volta con la guerra?

Nel 2014 c’è stata la presa della mia città da parte dei militanti della cosiddetta “Repubblica Popolare di Doneck” sotto l’amministrazione russa. C’è stata una fase estremamente tesa fino alla liberazione della città: la fase della guerra, quando hanno cercato di conquistare Mariupol e c’era la minaccia che la città venisse accerchiata. Io, mia moglie e un bambino piccolo non abbiamo retto e siamo partiti nel settembre 2014. Siamo tornati nel 2015. Da allora ci abbiamo vissuto; sapevamo che la linea del fronte era vicina, ma la città rientrava comunque nel territorio sotto controllo ucraino.

Abbiamo cercato di ucrainizzare la città in ogni modo possibile, aiutando i militari e partecipando attivamente al volontariato.

Eravate preparati agli eventi del 24 febbraio?

I militari e gli analisti ci avevano avvertito che sarebbe successo: lo sapevamo ed eravamo moralmente preparati. Anche se era quasi impossibile prepararsi fisicamente e materialmente.

A dicembre-gennaio si stava già preparando e avrebbe potuto accadere come non accadere. E alla fine, il 24, è successo ciò che era stato previsto più di tutto: attacchi missilistici e con l’aviazione sull’intero territorio, e così via....

Speravamo che i russi si sarebbero resi conto che ci stavano aiutando e che avremmo resistito.

Il 24 febbraio, al mattino, abbiamo sentito che c’erano bombardamenti in tutta l’Ucraina, e poi abbiamo sentito che stavano bombardando anche noi. Era nelle vicinanze — il quartiere orientale dalla parte del villaggio di Šyrokine e dell’aeroporto. Sapevamo che la città era fortificata, soprattutto da quel lato, ma ci aspettavamo che sarebbe stato difficile e che avremmo avuto bisogno di aiuto. Ma non ci aspettavamo di essere circondati. Anche se sapevamo che ci sarebbe stata una guerra, non eravamo pronti a partire, perché io e mia moglie abbiamo genitori anziani.

Come erano le sue giornate prima di lasciare la città?

Il primo giorno sono andato a lavorare per mezza giornata, il secondo giorno ho cercato di andare al negozio per comprare qualcosa, perché erano cominciati i problemi di approvvigionamento: tutti compravano cibo, come poi si è visto, ed era giusto così.

Poi ho capito che non c’era lavoro ed era difficile stare a casa, così sono andato dai miei amici del centro di volontariato più vicino e lì ho aiutato, caricando qualcosa. C’erano anche dei turni di notte per sorvegliare il posto. Aiutavamo i militari, la polizia. Hanno iniziato ad avere problemi con le forniture, almeno non avevano abbastanza cibo caldo. La polizia e i pompieri lavoravano sempre. Così hanno fatto il loro lavoro e noi abbiamo aiutato come potevamo.

Dopo tre o quattro giorni sono iniziati i primi problemi con l’elettricità, che sono stati finalmente risolti e le luci si sono accese di nuovo. I servizi della città continuavano a funzionare.

Ma dopo un po’ di tempo la luce è venuta a mancare di nuovo; quindi è venuta a mancare l’acqua, ed abbiamo iniziato a cercare delle fonti naturali. Perché non abbiamo, come in altre città, pozzi d’acqua. I servizi comunali hanno iniziato a portare delle cisterne, ma c’erano code enormi e la gente si ricordava dove c’erano almeno delle sorgenti o dei pozzi. E’ ovvio che la prima necessità è l’acqua.

Poi, qualche giorno dopo, è venuto a mancare il gas. Non all’istante, all’inizio solo laddove le condutture dell’acqua erano state bombardate. La gente cominciò a congelare. Il nostro quartiere, fortunatamente, fu uno degli ultimi in cui si interruppero le forniture di gas. Per quanto riguarda la nostra famiglia, io e la famiglia di mia sorella, con cui siamo partiti insieme, viviamo nella stessa casa, ma abbiamo ingressi diversi. Faceva freddo e ci siamo trasferiti tutti in una stanza per respirare e riscaldarci. Abbiamo resistito per tre o quattro giorni, poi la temperatura è scesa e ci siamo trasferiti dai miei genitori, che vivono alla periferia di Mariupol. Hanno acceso la stufa, e a quel tempo si poteva ancora trovare la legna.

Dal momento in cui il gas è venuto a mancare, tutta la città ha preso in mano seghe e asce: la gente segava, tagliava per cucinare il cibo e per riscaldarsi. Era peggio per chi viveva nei condomini, perché tutti cercavano di farlo in cortile. Quando sono andato a trovare dei miei conoscenti, indossavano giacche e cappelli, la temperatura nelle stanze si avvicinava allo zero. Era una situazione insolita per Mariupol: durante la settimana tutte le notti c’erano dai sei ai dieci gradi sotto zero...

Dopo che venne a mancare l’elettricità, c’è stato un problema di comunicazione, i cellulari hanno iniziato a scaricarsi. È stato più facile per chi aveva i generatori. Abbiamo dovuto cercare conoscenti e luoghi. Ho ricaricato il mio telefono al centro di volontariato.

Quindi si è interrotta la connessione a Internet. All’inizio si pensava che le torri non funzionassero, ma i militari hanno detto che intorno a Mariupol c’erano dei “disturbatori di segnale”, motivo per cui la connessione non funzionava regolarmente. In alcuni luoghi la comunicazione ricompariva, le persone ne davano comunicazione l’uno con l’altro e si recavano sul posto per leggere le notizie, per scoprire cosa stava succedendo intorno a loro, perché il blocco delle informazioni era già iniziato. Ora, come sapete, c’è il blocco totale ed esistono solo fondi russe.

Allo stesso tempo, le trasmissioni radiofoniche provenienti dall’Ucraina sono state interrotte e sono rimaste solo le stazioni radio della Repubblica Popolare di Doneck.

Зруйнований Маріуполь, фото: Pavel Klimov, Reuters Zerstörtes Mariupol, Foto: Pavel Klimov, Reuters Destroyed Mariupol, photo: Pavel Klimov, Reuters Разрушенный Мариуполь, фото: Павел Климов, Reuters

Mariupol distrutta, foto: Pavel Klimov, Reuters

Come siete usciti dalla città?

Siamo partiti insieme nella mia auto: quattro adulti e tre bambini. Ci sono volute 11 ore per andare da Mariupol a Zaporizhzhia Запоріжжя. Non è stato facile: non mi aspettavo di guidare in inverno, l’auto era parcheggiata in garage con i pneumatici estivi, senza carburante e senza gas. Ma nonostante il gelo e la neve che cominciava a cadere, siamo arrivati a Zaporižžia con i pneumatici estivi. Miracolosamente avevamo abbastanza carburante, abbiamo percorso gli ultimi metri in riserva.

A Zaporižžia ci hanno accolto e dato da mangiare all’ ”Epicentro”, dove abbiamo trascorso la notte.

Nostro cognato ci aspettava a Dnipro da due settimane. Abbiamo vissuto lì per quasi una settimana. Cercavamo delle opportunità di lavoro e un alloggio. Si trattava di scegliere un angolo qualsiasi dell’Ucraina che fosse più sicuro.

Grazie, ancora una volta, a dei conoscenti, abbiamo trovato un alloggio temporaneo a Sambir e a Drohobyč. Poi abbiamo affittato un appartamento tutto nostro nella vostra città. E ora siamo di nuovo tutti e sette insieme.

Com’era Mariupol quando avete lasciato la città?

Quando siamo partiti, è stato un miracolo che non siamo stati colpiti dai bombardamenti: eravamo illesi e la macchina era intatta. Abbiamo visto solo ciò che volava intorno a noi. Vedevamo i feriti e le persone che guidavano in auto distrutte, cominciavamo a distinguere i suoni, sapevamo già quando qualcosa arrivava vicino a noi.

Che cosa abbiamo visto? Case distrutte nel centro. Noi vivevamo in centro. I miei genitori vivevano nel villaggio di Piščane, dietro il porto.

La città veniva colpita ogni giorno, abbiamo visto crateri.

La prima settimana, per esempio: i miei genitori erano a Piščane, non c’erano comunicazioni, sono andato a trovarli, caso mai fosse stata bombardata? Lì era abbastanza tranquillo. Quando ho portato la nonna di mia moglie, tre giorni dopo, allora ho visto le tracce dei bombardamenti. Insomma, hanno bombardato un villaggio dove non c’erano siti militari.

Anche prima della nostra partenza, il porto non era stato bombardato, ma il villaggio, noto anche per il suo festival, era già stato bombardato. In particolare, i nazisti russi hanno colpito la centrale elettrica: l’hanno bombardata direttamente dal mare.

Il 15 marzo stavo preparando legna e acqua per la casa dei miei genitori, perché lì vivevano già 11 persone insieme. Il giorno dopo, alla vigilia della partenza, abbiamo visto delle colonne in moto in uscita. A quanto ho capito, non si trattava di un convoglio umanitario organizzato; semplicemente la gente si era organizzate ed è partita. In seguito sono comparsi dei blocchi stradali.

Ho guidato lungo la via Metallurgov, che attraversa tutta la città. Ho visto che tutti gli edifici della mia università erano stati bombardati dall’artiglieria, era estremamente difficile attraversare il centro. Mi spostavo in bicicletta, c’erano frammenti di vetro ovunque, da qualche parte non c’erano finestre, da qualche parte c’erano case semidistrutte o completamente distrutte. In breve, l’intero centro di Mariupol era distrutto. Ho visto un cratere largo dieci metri e profondo quattro o cinque metri nel luogo in cui si trovava un passaggio sotterraneo.

Era il 10 (marzo — ndr). Poi hanno detto che l’aviazione nemica ha iniziato a “macerare” il centro della nostra città.

Quando mi sono recato al centro di volontariato per conoscere le ultime novità, la polizia mi ha detto che le persone viaggiavano a proprio rischio e pericolo. Così ho stabilito il percorso da fare. In quel momento, è arrivato un ragazzo che era tornato dal Teatro di arte drammatica, che era stato colpito.....

Abbiamo deciso di provare a uscire, anche se sarebbe stato rischioso guidare attraverso il territorio occupato.

Nonostante le scarse comunicazioni, abbiamo ricevuto il messaggio che c’è un corridoio per il trasporto privato lungo un percorso indicato.

In effetti, poco prima di partire, ho visto la città in rovina, e col tempo ho saputo che il 70% del patrimonio condominiale era già stato distrutto....

Chi ti è rimasto a Mariupol?

Mio padre e mia madre, mia sorella è con loro, perché i miei genitori si sono ammalati l’anno scorso. E la nonna di mia moglie. Il padre di mia moglie viveva nell’insediamento di Talakovka, abbiamo perso il contatto con lui il 26 febbraio e da allora non sappiamo più nulla di lui...

Perché gli occupanti stanno facendo questo a Mariupol?

A quanto pare, non sono riusciti a prendere la nostra città così velocemente come volevano, perché i militari l’hanno difesa. Gli occupanti sono arrivati solo alla periferia, sono stati respinti.

Per questo sono ricorsi ai bombardamenti sulla popolazione civile, per creare panico, per farli allontanare, per fare pressione sui militari, che hanno anche parenti tra la popolazione locale. Sia i militari che i civili hanno ricevuto messaggi di testo da numeri russi che chiedevano loro di arrendersi.

I nazisti russi hanno detto che stavano bombardando la base di Azov; in realtà, i primi siti “militari” che hanno bombardato sono stati una scuola e un edificio di nove piani vicino alla base delle forze di difesa territoriale.

È difficile dire se ciò sia stato fatto deliberatamente o per errore, perché il 90% delle scuole della città è stato distrutto, così come tutte e sette le università di Mariupol.

Ha senso negoziare e concordare la pace con i russi?

Conosco bene la storia e dal 2014 ho iniziato a studiarla più a fondo, quindi credo che sia impossibile negoziare con loro. I negoziati in corso sono puramente strategici e diplomatici, ma non ci si può fidare in alcun modo di loro.

Condividere l'articolo